AVVOCATI: Avvocati divisi sui soci (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Avvocati divisi sui soci

Lun.29 – «Le società di avvocati con la presenza di soci di capitale non hanno, per i professionisti, compatibilità economica ed etica». È un giudizio tagliente e senza chiaroscuri quello di Remo Danovi, dallo scorso anno di nuovo al servizio delle istituzioni di categoria, come presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, dopo essere stato al vertice del Cnf.
Il disegno di legge sulla concorrenza, all’esame del Senato, tenta di nuovo di disciplinare l’esercizio della professione di avvocato in forma societaria, fallito il tentativo della delega contenuta nella riforma dell’ordinamento forense, la legge 247/2012. A differenza dei criteri del 2012, il disegno di legge sulla concorrenza prevede l’apertura anche ai soci di capitale, con il limite invalicabile di un terzo, sia per quanto riguarda il capitale, sia per i diritti di voto. Almeno due terzi, infatti, devono appartenere ad avvocati o a professionisti iscritti ad Albi di altre professioni regolamentate.
«Credo che sulla questione non possano esserci compromessi – commenta Danovi -: non basta, da parte delle istituzioni forensi, mostrare di fare opposizione per poi accontentarsi di qualche correttivo nella governance».
La scelta delle società di capitali, per Danovi, non ha giustificazione economica. «Poniamo il caso di un socio di capitali, non ci importa sapere chi sia, che mette 16mila euro su un capitale complessivo di 50mila per una società di giovani avvocati. Per tutta la vita, con questo investimento, il socio di capitale avrà un terzo degli utili dello studio, che andranno a crescere progressivamente con l’età dei professionisti».
Il discorso, però, è soprattutto etico e riguarda la sfera di autonomia e indipendenza. «Che cosa succederà, al di là di ogni cautela di governance, quando nell’assemblea di approvazione del bilancio il socio di capitale chiederà notizie su una causa o una consulenza risultata particolarmente redditizia? O, – continua Danovi – suggerirà di abbandonare difese poco remunerative, magari a tutela di diritti fondamentali violati?». La riservatezza cui è tenuto l’avvocato – sottolinea Danovi – è destinata a cadere a partire dall’esame del rendiconto della società, che non può essere “vietato” al socio.
Inoltre, non si può nascondere che il socio di capitale – interessato a investire una piccola cifra per affittare uno studio, acquistare computer, collegamenti a internet e un po’ di strumenti di aggiornamento e di documentazione – nella gran parte dei casi potrebbe essere, secondo Danovi, una banca. Gli istituti di credito potrebbero avere convenienza a esternalizzare parte dell’ufficio legale. La società di avvocati “vivrebbe” degli affari passati dalla banca e la monocommittenza sostanziale metterebbe fine a qualsiasi aspirazione di autonomia e di indipendenza anche dal punto di vista “scientifico”.
La ricetta delle società tra avvocati, insomma, secondo Danovi rappresenta un vulnus dal punto di vista etico, senza rispondere alle esigenze economiche dell’avvocatura che continua a crescere a ritmi velocissimi. «Solo a gennaio ho iscritto all’Albo di Milano 300 avvocati. Imporre una visione etica della professione – con numeri di massa – è difficile, ma non possiamo sottrarci a questo dovere, tanto più che la legge riconosce una giurisdizione forense per tentare di amministrare la giustizia civile». Maria Carla De Cesari

Foto del profilo di Andrea Gentile

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