GUIDA AL DIRITTO
Avvocati e Antitrust, l’infinito contrasto non aiuta la categoria
Nell’interminabile sfida Antitrust vs Cnf inaspettatamente il match si è chiuso con il sonoro K.O. subito dall’Antitrust. In attesa del prossimo round il Cnf ha almeno scampato di pagare altri 912.536,40 euro per addotta inottemperanza alla diffida, ormai definitiva, che l’aveva già condannato a sborsare un importo di pari pesantezza. Va bene che non è detta l’ultima parola, anche perché è sempre possibile un ricorso contro questa sentenza del Tar per il Lazio al Consiglio di Stato, che non si è proprio di recente mostrato certo tenero con gli avvocati proprio in questa vicenda, seppur sotto altri profili, ma in questa serie di disfatte non rimane che rallegrarsi almeno per la vincita di un round e di non dover pagare altri 912.536,40 euro. Si è trattato di vedere in concreto se il Cnf si fosse doverosamente conformato ai dettami dell’Antitrust una volta che essi erano stati ritenuti legittimi da una primiera sentenza del Tar, e la risposta di questa sentenza 2016 n. 11169, ancora del Tar Lazio, è stata affermativa, con un’approfondita analisi della procedura da seguire in seno all’Antitrust e con un interessante distinguo fra attività anticoncorrenziale e illecito deontologico. L’uso di piattaforme digitali Gli antefatti sono ormai noti: fanno capo alla delibera del 22 ottobre 2014 n. 25154 con la quale l’Antitrust comminava al Cnf una sanzione pecuniaria di 912.536,40 euro; quindi ci si limita qui a richiamarli, rimandando chi fosse interessato a una più specifica analisi a quanto svolto in Dossier n. 5/2014 di «Guida al Diritto», pagina 14. La contestazione, in ordine alla quale l’intervento dell’Antitrust è stato dapprima condiviso dal Tar del Lazio con sentenza del 1° luglio 2015 n. 8778 e dipoi dal Consiglio di Stato (sezione VI, sentenza 28 gennaio-22 marzo 2016 n. 1164) riguarda il parere n. 48/2012 col quale il Cnf aveva ritenuto sussistere l’infrazione disciplinare per violazione del divieto di accaparramento della clientela di cui all’articolo 19 del previgente Codice deontologico, nell’uso di piattaforme digitali per promuovere i servizi professionali da parte degli avvocati. Nello specifico ad avviso del Cnf il sistema di pubblicità e di offerta delle prestazioni degli avvocati affiliati al «circuito Amica Card» verrebbe a configurare una pubblicità in contrasto con i requisiti di legge, in quanto non diretta a fornire informazioni sulla struttura, specializzazione e capacità dello studio legale, essendo basata su di un mero “sconto” di cui rimangono ignote le basi di calcolo e il tipo di prestazioni cui si fa riferimento; e il sistema degli “sconti” riservati soltanto agli utenti iscritti ad Amica Card, a fronte del carattere oneroso sia della iscrizione dei clienti sia della partecipazione degli avvocati affiliati al “circuito” darebbe luogo a un sistema di intermediazione nella ricerca della clientela (procacciamento) come tale anch’esso vietato dal codice deontologico, che per legge spetta all’ordine forense far rispettare. Il punto investiva in particolare il tenore dell’articolo 35 dell’attuale Codice deontologico (in Dossier n. 5/2014 di «Guida al Diritto», pagina 54) laddove prevedeva il dovere d’informazione: le censure dell’Antitrust investivano in particolare l’assunta discriminazione dei mezzi d’informazione emergente dal canone deontologico e specificamente il comma 9 («L’avvocato può utilizzare, a fini informativi, esclusivamente i siti web con domini propri senza reindirizzamento, direttamente riconducibili a sé, allo studio legale associato o alla società di avvocati alla quale partecipi, previa comunicazione al Consiglio dell’Ordine di appartenenza della forma e del contenuto del sito stesso») nonché il comma 10 («L’avvocato è responsabile del contenuto e della sicurezza del proprio sito, che non può contenere riferimenti commerciali o pubblicitari sia mediante l’indicazione diretta che mediante strumenti di collegamento interni o esterni al sito»). Il suindicato parere del Cnf n. 48/2012 sulla pubblicità sarebbe stato, ad avviso dell’Antitrust, volto a limitare direttamente e indirettamente l’autonomia dei professionisti rispetto alla determinazione del proprio comportamento economico sul mercato e costituente un’intesa avente a oggetto la restrizione del gioco della concorrenza nel mercato dei servizi professionali resi dagli avvocati in Italia, con evidente svantaggio per i consumatori finali e quindi dell’articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea . Da qui l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato appioppava con la suindicata delibera 22 ottobre 2014 n. 25154 (si veda in Dossier n. 5/2014 di «Guida al Diritto», pagina 14) al Cnf una sanzione pecuniaria di ben 912.536,40 euro, avverso la quale esso ricorreva al Tar del Lazio che, pur accogliendo con la sentenza 1° luglio 2015 n. 8778/2015 le doglianze del Cnf quanto alla distinta questione del divieto dei minimi tariffari, le respingeva quanto al divieto di pubblicità, condividendo la natura anticoncorrenziale relativamente ai siti internet ritenendo che « il quantum della sanzione deve essere rivisto solo nella parte in cui si considera come intesa anticoncorrenziale anche la circolare 22-C/2006», rimettendo «all’Antitrust la rideterminazione del nuovo ammontare della sanzione, ma tenendo conto che sull’attuale ammontare ha inciso, oltre alla gravità, anche la durata dell’infrazione». L’addotta inottemperanza La suindicata sentenza del tribunale amministrativo del Lazio 1° luglio 2015 n. 8778 è stata impugnata dinanzi al Consiglio di Stato il quale ha poi rigettato l’impugnazione con sentenza 28 gennaio-22 marzo 2016 n. 1164 confermando in toto la suindicata delibera del 22 ottobre 2014 n. 25154, e quindi anche in ordine al divieto dei minimi tariffari (ma questa è un’altra storia). In detta sentenza del Tar – è quel che appunto qui rileva – non era stata concessa la sospensione della sopracitata delibera dell’Antitrust 22 ottobre 2014 n. 25154 che aveva, oltre a comminare la pesantissima sanzione di 912.536,40 euro, anche diffidato il Cnf dal ripetere in futuro analoghi comportamenti. Ed ecco allora che scappa fuori una nuova delibera Antitrust (29 febbraio 2016 n. 1748 in n. 13/2016 di «Guida al Diritto», pagina 22) in forza della quale incorre (ancora una volta) nella sanzione amministrativa di euro 912.536,40 il Consiglio Nazionale Forense che non abbia ottemperato alla diffida, recante sanzione di pari importo, con la quale l’Antitrust gli aveva ingiunto di cessare di diffondere limitazioni nell’utilizzo di un canale promozionale e informativo attraverso cui si veicola anche la convenienza economica della prestazione. Contro questa ulteriore delibera ricorre adesso il Cnf innanzi al Tar per il Lazio rilevando varie anomalie nella procedura di questa nuova irrogazione di sanzione e in particolare contestando di avere invece ottemperato alla primiera delibera Antitrust del 22 ottobre 2014 n. 25154 dando luogo a una sorta d’interpretazione autentica in data 23 ottobre 2015 del censurato suddetto parere n. 48/2012, nella quale si richiamava il pericolo di accaparramento della clientela e dell’utilizzo di procacciatori di affari. Come si vedrà dopo, tale interpretazione “autentica” è stata poi confermata e trasfusa a modifica dell’articolo 35 del Codice deontologico. • Gli antefatti fanno capo alla delibera di ottobre 2014 con la quale il Garante comminava al Cnf una multa di 912.536,40 euro