LA STAMPA
Avvocati italiani a lezione da Perry Mason
Perché negli Usa hanno i Perry Mason, i Derby Shaw (Rapporto Pelican), i Rusty Sabich (Presunto Innocente), bravi, belli, intelligenti e svegli, mentre
da noi gli avvocati sono di solito rappresentati come degli azzeccagarbugli? Si trovano nelle truffe di Totò, galleggiano sugli yacht dei Vanzina oppure sproloquiano con la faccia di Alberto Sordi, ma mai che i nostri legali risolvano un caso o, vincendo una causa, smascherino il vero colpevole. La questione, niente affatto secondaria, prelude a un`intera concezione della cultura popolare verso i temi della giustizia che finisce addirittura per incidere sull`esito stesso di certi processi, laddove soprattutto intervengono i programmi televisivi dando vita al cosiddetto «processo mediatico».
Così al Palazzo di Giustizia di Milano – Aula Magna, domani ore 15,30 – si è deciso di dedicare alla questione addirittura un convegno intitolato: «Immagini della giustizia penale sullo schermo e nelle fiction tivù», cui parteciperanno il procuratore Francesco Greco, l`ex sindaco e avvocato penalista Giuliano Pisapia, l`ex presidente del Tribunale Livia Pomodoro, il presidente degli avvocati milanesi Remo Danovi e il critico televisivo e docente di storia televisiva Aldo Grasso. Lo spunto lo offrirà un libro appena uscito, intitolato Estetica della giustizia penale: prassi, media, fiction (Giuffrè editore), firmato dal professor Ennio Amodio, penalista di fama, professore emerito di procedura penale alla Statale e acuto osservatore della realtà mediatica.
Dove l`etica della liturgia processuale, che Amodio analizza dimostrando come finanche la gabbia che campeggia nelle aule dei processi contribuisca a condizionare e spaventare l`imputato, lascia il posto, appunto, a un`estetica
controllata dai media, non di rado trash, nella quale si riversano le eterne tifoserie italiane. Ma a cosa è dovuta questa differenza con il mondo giudiziario anglosassone? «In America e Inghilterra ci sono istituti giuridici che creano un collegamento tra giustizia e società civile: la giuria, l`elezione diretta dei pubblici ministeri e la magistratura che viene vissuta come appendice della professione forense», risponde Amodio. «Da noi inoltre la rappresentazione della giustizia è imperniata sulla presunzione di colpevolezza, mentre Oltreoceano c`è grande attenzione ad evitare di confondere la figura dell`indagato con quella dell`imputato».
Il confronto però, negli Usa, è tra avvocato e poliziotto che, non a caso, si contendono il ruolo eroico sullo schermo. «Meglio avere a che fare con un pm, comunque. Dà più garanzie all`indagato»
C`è poco da fare: il «buono» nella narrazione giudiziaria italiana è il magistrato, meglio se pubblico ministero, colui cioè che coordina le indagini e, come dice la parola, svolge una funzione pubblica, garantendo in teoria anche le ragioni dell`indagato. Una figura che può contare su «eroi» notevoli come Falcone e Borsellino. Mentre va rilevato come l`unico caso in Italia di avvocato ucciso dalla mafia sia quello «dell`eroe borghese» Giorgio Ambrosoli, assassinato perché curatore fallimentare della banca di Sindona.
«Però nel cinema americano assistiamo a un capovolgimento: il magistrato molte volte è un pavido, mentre l`avvocato finisce per far trionfare non solo l`interesse del suo assistito ma anche quello pubblico», spiega Amodio. Che
fissa una data fondante nella narrazione americana dell`eroe «legale»: 1939, con un film intitolato Alba di gloria, dove un giovane avvocato impedisce che due detenuti vengano linciati dalla folla per essere consegnati a un tribunale.
Si trattava di Abramo Lincoln, il presidente che pose fine alla schiavitù: è lui il capostipite degli avvocati eroi. PAOLO COLONNELLO