AVVOCATI: Avvocati (perlopiù) soli (Italia Oggi Sette)

ITALIA OGGI SETTE

L’indagine Censis sulla professione commissionata da Cassa forense
Avvocati (perlopiù) soli
Il 66% dei legali titolare unico dello studio

Lun.21 – Avvocati ancora titolari unici di studio in una percentuale altissima: oltre il 66%, tutti o quasi civilisti con bassissimi livelli di specializzazione e quasi nulli di internazionalizzazione visto lo 0,8% riportato dall’indagine sull’avvocatura commissionata al Censis da Cassa Forense e presentata un paio di settimane fa (v.
ItaliaOggi, 10 marzo 2016). Il ritratto che ne esce è quello di una profonda solitudine della professione visto che l’80% del campione si giudica in forte crisi professionale ed economica. Prova ne è un mercato di riferimento perlopiù locale che a giudizio dei più va assolutamente allargato e che nonostante indagini, sperimentazione e prove di mediazione, è per un buon 66% ancorato all’attività giudiziale e solo nel 28% dei casi aperto ad attività di consulenza e in un misero 5% a mediazioni e arbitrati. Gli avvocati prendono l’iniziativa e si fanno autogiudicare dai colleghi e dagli italiani in uno sforzo di umiltà che almeno gli va riconosciuto vista la diffusa propensione al rimpallo di responsabilità tra categorie del personale giudiziario ogni volta che si verificano disfunzioni e inefficienze nel sistema. L’indagine, condotta a su di un campione di quasi 8 mila avvocati, è servita a mettere a fuoco le molteplici dinamiche e dimensioni di esercizio della professione forense oggi in Italia: modalità organizzative, mercato di riferimento, identità professionale, fabbisogno formativo, domanda di welfare e rappresentanza. Il Censis ha poi intervistato mille italiani divisi per genere, età ed area geografica, di 1.000 italiani, operazione che ha così permesso di farsi un’idea della percezione dell’avvocato nell’opinione pubblica degli italiani. Oltre alla dimensione strutturale di piccole dimensioni e fondata quasi esclusivamente sul titolare unico di studio (solo il 13% degli avvocati italiani è contitolare di uno studio associato e un povero 0,7 lo è su base societaria) tre quarti del mercato di riferimento è locale, più raramente raggiunge il livello regionale e ben di rado quello internazionale. Lo zoccolo duro della clientela è formato dalle persone fisiche, 72% e dalle piccole e medie aziende per un 27%. Il 74% del campione intervistato non ha un sito web e oltre il 60% non aderisce ad alcun network professionale e per quanto possa apparire strano in tempi di massivo uso dei social network, il maggiore canale di autopromozione resta quello personale e fiduciario, il passaparola che nel nostro paese vale l’87%. A seguire la rete sociale e di amicizie per un 76%, il 24% lo fanno le collaborazioni e gli accordi con altri studi, il 15% le partecipazioni alla vita pubblica locale o nazionale e il 13% il poco diffuso sito web di studio. Il 44% del campione ha visto diminuire il proprio fatturato nell’ultimo biennio e il 38% di loro vede la situazione economico-congiunturale presente abbastanza critica. Sostanzialmente negativo il giudizio sulla formazione universitaria: il 41% la ritiene poco adeguata rispetto all’effettivo esercizio della professione ma la percentuale sale al 55% se parametrata alle esigenze del mercato. Ma per la maggior parte la crisi si può arginare limitando l’accesso alla professione e favorendo il ricambio generazionale. In altre parole, regolandone l’entrata ma anche l’uscita. E gli italiani che ne pensano? Per oltre l’80% di loro è ancora una professione prestigiosa ma li ritengono troppi e troppo coinvolti in politica. Per i tre quarti degli intervistati ciò che invece ha perso prestigio è il nostro sistema giudiziario che offusca così l’immagine dell’avvocato prova ne è quel 50% del campione che ha dichiarato di aver rinunciato alla tutela di un proprio diritto per la scarsa fiducia che ripone nella giustizia italiana. Marzia Paolucci

Foto del profilo di Andrea Gentile

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