ITALIA OGGI
Cnf, compensazioni debiti-crediti da ampliare
Allargare alle associazioni professionali la possibilità di compensare i debiti fiscali con i crediti spettanti agli avvocati per l’attività di patrocinio a spese dello stato. L’esclusione dei crediti risultanti da fatture intestate ad associazioni professionali dalla compensazione prevista dall’art. 1, comma 778, della legge n. 208/2015, costituisce infatti una grave lesione della libertà professionale dell’avvocato e della libertà, per il cliente, di scegliere il professionista da cui farsi assistere in giudizio. È quanto afferma il Consiglio nazionale forense in una nota inviata al direttore generale del Dipartimento per gli affari di giustizia, Michele Forziati, sulla circolare del 3 ottobre del ministero che ha escluso i crediti risultanti da fatture intestate a studi professionali associati dalla compensazione, alla luce della natura individuale del credito maturato.
Secondo il Cnf, tale esclusione appare «priva di adeguata base normativa». La norma afferma, infatti, che sono ammessi alla compensazione i soggetti che vantano crediti per spese, diritti e onorari di avvocati, ricomprendendo in tale nozione anche le associazioni professionali di cui all’art. 4 della legge professionale forense. La dizione più ristretta di avvocati, osserva il Cnf, che emerge dall’art. 1 del dm 15 luglio 2016, ricomprende anche l’avvocato che esercita la professione attraverso lo strumento dell’associazione professionale. Il dm è infatti fonte subordinata alla legge, osserva il Cnf, «e pertanto non abilitata a ridurre l’ambito soggettivo di applicazione della disposizione legislativa». Sul piano degli effetti, invece, il Cnf sottolinea come l’agevolazione fiscale rappresenta una misura a favore del patrocinio a spese dello stato e limitare tale beneficio ai soli avvocati che esercitano la professione individualmente «lede, in primo luogo, la libertà professionale dell’avvocato ove questa sia stata esercitata mediante la costituzione o l’adesione a una associazione professionale».
All’avvocato associato non resterebbe infatti che una alternativa: uscire dall’associazione e fatturare personalmente i crediti derivanti da spese, diritti e onorari derivati da prestazione resa a favore di soggetti ammessi al patrocinio a spese dello stato. Tale comportamento, però, specifica il Cnf, si risolverebbe «in un irragionevole vulnus al diritto di esercitare la professione in forma associata: infatti, l’associazione si vedrebbe costretta a rinunciare a una porzione di reddito». Infine, per quanto riguarda il cliente, il Cnf afferma che l’esclusione costituisce «un pregiudizio del diritto di difesa, sotto il profilo della libertà di scelta del professionista da cui farsi assistere. Infatti, il soggetto economicamente svantaggiato avrà la sola scelta di farsi assistere da un professionista esercente in forma individuale e non anche dal membro di uno studio associato”. Il Cnf chiede quindi al ministero di rivedere al propria posizione in merito. Gabriele Ventura