IL DUBBIO
La tenaglia che ha strozzato gli avvocati
Immaginate due giudici. Immaginateli coinvolti in una decisione importantissima per il futuro dell’avvocatura italiana, ma su due fronti opposti: il primo, Roberto Chieppa, è segretario generale dell’Antitrust. Il secondo, Vincenzo Lopilato, è giudice del Consiglio di Stato, la suprema corte della giustizia amministrativa. Il primo ha affibbiato un multone stratosferico al Consiglio nazionale forense: un colpo da quasi un milione di euro, per la precisione 912.536,40. Al secondo spetta decidere sui ricorsi presentati dalle due parti in causa, Antitrust e Cnf appunto. Adesso provate a immaginare, anzi tenetelo presente perché è un dato di realtà, che i due giuristi in questione non sono l’uno all’altro sconosciuti. Anche il primo, Chieppa, è consigliere di Stato, il suo incarico all’authority della concorrenza è temporaneo. Ma soprattutto, tra Chieppa e Lopilato esiste un importante sodalizio intellettuale e scientifico: pubblicano insieme volumi di grande rilievo accademico, ma anche le guide per gli esami da avvocato e magistrato, come quella uscita quattro anni fa per l’editore Giuffré (Giurisprudenza amministrativa 2012). Non capita così di frequente che due giuristi firmino pubblicazioni a quattro mani. Lo si fa solo sulla base di una comprovata affinità intellettuale e accademica. Tra il consigliere di Stato della VI sezione e il segretario generale dell’Antitrust questa affinità è indiscutibile. Ed è toccato al primo stabilire se l’altro aveva fatto bene a fulminare il Cnf con una multa da far tremare i polsi.
La supermulta
Si tratta della sentenza emessa dal Consiglio di Stato il 22 marzo scorso, con cui sono state accolte le tesi proposte dall’Antitrust contro il Cnf sulla precedente attenuazione della multa. Lopilato ha steso personalmente la sentenza che ha dato ragione a Chieppa. Ha accolto l’impugnazione dell’Antitrust sul pronunciamento con cui il Tar del Lazio aveva ridotto la sanzione a 513.914,17 euro. Al Cnf non l’hanno presa solo come un’amara coincidenza: il massimo organismo di rappresentanza istituzionale dell’avvocatura è come stretto in una morsa. Ancor più soffocante se si pensa che un mese prima, il 10 febbraio, l’Antitrust aveva inflitto al Consiglio nazionale forense un’altra multa dello stesso gigantesco importo della precedente: 912.536,40 euro, causa presunta inottemperanza al primo provvedimento.
In gioco non c’è semplicemente il mucchio di soldi da versare all’authority. Sono a rischio le basi dell’autonomia delle professioni. In particolare, in ballo c’è il diritto del Consiglio nazionale forense a battersi perché gli onorari degli avvocati non scivolino verso soglie da fame.
L’iter del conflitto
Tutto nasce da due atti del Cnf stesso, presi peraltro a diversi anni di distanza l’uno dall’altro: una circolare del 2006, pubblicata sul sito del Consiglio nazionale forense con un link che rinviava agli ormai abrogati minimi tariffari, superata da altro documento diffuso un anno dopo ma rimasta negli archivi online; e un parere del 2012 espresso su un mezzo di propaganda via internet usato da alcuni legali, la piattaforma “AmicaCard”. Due casi in cui l’organo dell’avvocatura avrebbe violato la concorrenza. Nel primo, come seppur indirettamente nel secondo, aveva previsto sanzioni disciplinari per i legali che si accontentano di compensi irrisori. Il Cnf, che per l’avvocatura è “l’Ordine degli Ordini”, si sarebbe opposto insomma alla logica del massimo ribasso. Peccato mortale. Non sia mai.
Autonomia negata
Mettere all’indice atti del genere significa infliggere un colpo irreparabile all’autonomia delle professioni, non solo a quella forense. Vuol dire svuotare del tutto il ruolo delle organizzazioni di categoria. Nello sferrare il proprio attacco l’Antitrust ha chiamato in causa le norme sulla concorrenza contenute nel Testo unico dell’Ue. Ma lo ha fatto secondo una logica che il Cnf ha inutilmente contestato fin dall’apertura del procedimento, nel luglio 2013. In ultima analisi la sanzione milionaria inflitta al Cnf vuol dire porte spalancate alla deregulation assoluta: niente più limiti alla pubblicità, alla concorrenza, al crollo degli onorari. Costo del lavoro sempre più basso, anche per gli avvocati. Una cosa del genere avrebbe dovuto essere presa per i capelli dal legislatore prima che si rivelasse in un violentissimo conflitto giurisdizionale. Ma soprattutto, anche nella lite tra Antitrust e Cnf ci sarebbe voluta la massima trasparenza. Al Consiglio di Stato d’altra parte si è ritenuto che la trasparenza della decisione non fosse in alcun modo scalfita dalla vicinanza tra l’estensore della sentenza e il segretario dell’Antitrust.
Una serena atarassia nel trattare materie delicatissime, destinate a cambiare la vita e le prospettive di guadagno per gli oltre 200mila avvocati italiani: è questa la disposizione d’animo che i vertici dell’avvocatura hanno colto nelle due autorità protagoniste del caso. Imperturbabilità a cui, dalle parti del Cnf, fa da contraltare quello sconcerto che da un po’ in Italia è forse il sentimento più diffuso. Errico Novi