ITALIA OGGI
Il cnf sulla sentenza del consiglio di stato
L’avvocatura non è un’impresa
Sab. 26 – Consiglio nazionale forense e consigli dell’Ordine degli avvocati non sono associazioni di imprese. Corte costituzionale e Cassazione hanno, infatti, ribadito le sostanziali diversità morfologiche tra impresa e professione, e quindi la necessaria diversità delle discipline legali. È questo, secondo il Cnf, uno dei punti critici della sentenza del Consiglio di stato del 22 marzo scorso (si veda ItaliaOggi del 24 marzo 2016), che ha di fatto confermato la iniziale condanna al pagamento di 912.536,40 euro inflitta dall’Antitrust e ridimensionata inizialmente dal Tar Lazio. È quanto emerge da un documento messo a punto dall’ufficio studi del Cnf contenente «brevi considerazioni» sulla sentenza di Palazzo Spada. «Anzitutto», afferma il Cnf, «secondo le prospettazioni del Consiglio di stato, ogni decisione di un ordine professionale costituisce automaticamente una restrizione della concorrenza decisa da una associazione di imprese, per cui tutte le disposizioni deontologiche possono essere considerate intese restrittive».
Il Cnf richiama però sia la sentenza n. 228/2014 della Corte costituzionale, sia la decisione della Cassazione (n. 560/2015) che ha rilevato l’inapplicabilità ai professionisti della disciplina codicistica della concorrenza sleale, difettando in capo a tali soggetti la qualità di imprenditore. Altro punto critico, la natura giuridica del Cnf, riconosciuta dal Consiglio di stato quale quella di ente pubblico secondo una nozione elastica «a certi fini e rispetto a certi istituti», e quindi «del tutto contraddittoria, posto che configura l’applicabilità di normativa a intermittenza». Cnf e Coa, quindi, possono essere qualificati come associazioni di imprese a seconda degli ambiti in cui intervengano. Dall’altro lato, però, argomenta il Cnf, agli enti istituzionali esponenziali della categoria forense sono applicabili le normative prettamente pubblicistiche sulla trasparenza e l’anticorruzione. «Va inoltre ricordato», si legge nel documento, «che il procedimento si è svolto senza le garanzie di rispetto del contraddittorio». Ancora, a parere del Cnf il dl 138/2011, attuato con il dpr n. 137/2012, richiamato dalla sentenza, è «pacificamente non applicabile al sistema ordinamentale forense, né all’epoca né successivamente a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 247/2012 e dell’art. 10 in particolare». Quanto alle modalità di calcolo «sono ancora forti le perplessità e le modalità di commisurazione di una sanzione che assume come parametro un presunto fatturato di enti pubblici che vivono invece del contributo degli iscritti e non esercitano attività di impresa». Detto ciò, il Cnf ha già accantonato in fase di bilancio gli oltre 900 mila euro di sanzione e, sottolinea il presidente, Andrea Mascherin, in una lettera inviata agli iscritti, metterà in campo future iniziative «considerato che si tratta di una materia sulla quale, di recente, ha avuto occasione di intervenire la Corte europea dei diritti dell’uomo».