CARCERI: Abbattere il «muro» fra carcere e società (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Cambiare prospettiva. Il ministro Orlando contro le «false verità»
Abbattere il «muro» fra carcere e società

Declinare la “certezza della pena” in modo diverso, abbattendo il «muro» tra carcere e società, «perché non sono mondi separati»; abbandonando «il populismo e la crescente penalizzazione», perché «hanno presa nei proclami ma poca o nessuna efficacia nella realtà dei fatti»; «cambiando prospettiva», perché «il punto di riferimento dev’essere il ritorno all’esterno» del condannato. Dunque: non solo carcere – e mai più il carcere che umilia i detenuti, ne comprime i diritti fondamentali, li deresponsabilizza, aumenta la recidiva – ma soprattutto pene e misure alternative, nonché percorsi di giustizia riparativa per ricucire lo strappo consumato dal colpevole con la vittima e la società. Carcere dei diritti, misure di comunità e giustizia riparativa: da qui passa la «garanzia di una maggiore sicurezza collettiva». Anche contro il rischio «oggi drammaticamente attuale» della radicalizzazione jihadista nelle carceri.
È questa la “rivoluzione” – per ora solo culturale – uscita dagli Stati generali sull’esecuzione penale, sintetizzata dal ministro della Giustizia Andrea Orlando nel primo dei due giorni conclusivi di quella maratona, lunga un anno e articolata in 18 Tavoli tematici composti da 200 persone (accademici, giuristi, magistrati, architetti, sociologi, medici, sportivi, scrittori, educatori, dirigenti penitenziari e poliziotti, psicologi, politici, artisti). Un’iniziativa inedita, voluta dal guardasigilli (e rivendicata «con orgoglio») subito dopo aver scavallato l’emergenza sovraffollamento, affinché da lì si potesse ripensare il carcere. Che così com’è, a tacer d’altro, costa 3 miliardi l’anno e produce un tasso di recidiva tra i più alti d’Europa (il 56%, di cui il 67% tra gli italiani e il 37% tra gli stranieri).
Ieri, l’Auditorium del carcere romano di Rebibbia straripava di politici, magistrati, giuristi. In prima fila il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Più tardi anche il suo predecessore Giorgio Napolitano, che al carcere ha dedicato l’unico messaggio del suo lungo mandato presidenziale (ma che ieri ha perorato la riforma delle intercettazioni). Presente anche l’Europa, con Vera Jourova, commissaria per la Giustizia dell’Ue, e Gabriella Battaini-Dragoni, vicesegretario generale del Consiglio d’Europa: entrambe hanno riconosciuto che l’Italia è diventata «un esempio» per aver ridotto il sovraffollamento (piaga europea), considerato «il principale strumento di prevenzione della radicalizzazione», che in carcere trova terreno fertile, come dimostra la storia di alcuni jihadisti autori delle stragi di Parigi. In Italia «i numeri non sono allarmanti né comparabili con quelli di altri Paesi europei – spiega Orlando -: le persone coinvolte in un percorso di radicalizzazione, con diverse gradazioni di adesione, sono 360 e 500 nelle carceri minorili. Quindi, nessun allarme ma nessuna sottovalutazione». Anche qui la soluzione passa per il cambiamento del carcere: «Se non lo adeguiamo, se non lo umanizziamo, il carcere rischia purtroppo di funzionare come un fattore di moltiplicatore dei fenomeni che pretendiamo di combattere esclusivamente con il carcere» ha detto. Certo è che l’Europa, dopo gli attentati, ha sollecitato i Paesi membri a «individuare politiche che dissuadano dal ricorso al carcere come scelta punitiva principale». Per il Procuratore antimafia e antiterrorismo Franco Roberti, bisogna investire nella formazione interculturale del personale carcerario, aprendo il carcere a educatori di fede musulmana preparati (ma il 41 bis è «imprescindibile»).
Le proposte dei Tavoli sono confluite nel documento del Comitato scientifico coordinato dal professor Glauco Giostra. L’obiettivo è la riforma dell’ordinamento penitenziario del ’75, già rivoluzionaria ma privata delle gambe per camminare e superata dai cambiamenti della società e della criminalità, diventate multietniche. Peraltro, le norme funzionano solo se sorrette da «un’adeguata organizzazione» e da una «omogenea e innovativa impostazione culturale» ha insistito Orlando, chiedendo a media, partiti, soggetti sociali di dedicare tempo al carcere e di non fermarsi a «verità esibite di fronte al senso comune, che verità non sono». Dal vicepresidente del Csm Giovanni Legnini ha incassato «piena e convinta collaborazione». «Sostegno pieno» anche dal presidente del Consiglio nazionale forense Andrea Mascherin. Il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, ha sottolineato che se le pene hanno un carattere deterrente, il loro «scopo è di ristabilire l’ordine personale e sociale ferito».
Certo, nessuna rivoluzione è a costo zero. Se sono le «sanzioni di comunità» la nuova frontiera dell’esecuzione penale, è lì che bisogna investire per evitare «il fallimento». Già oggi le risorse oggi sono inadeguate, ha detto Francesco Cascini, capo del nuovo Dipartimento per i minori e l’esecuzione penale esterna, che gestisce 41mila misure (26mila nel 2011), implementate dalle norme su messa alla prova e lavoro di pubblica utilità, che hanno spostato gradualmente la sanzione penale dal carcere verso la comunità. L’investimento avrà un ritorno in termini di riduzione della recidiva e di sicurezza collettiva. Quindi, dice Orlando, «non è buonismo». Conviene.
Oggi sfilano i ministri dell’Interno, del Lavoro, della Sanità, delle Infrastrutture, dei Beni culturali, dell’Istruzione, dell’Argricoltura . Ma chissà se – come si auguravano i detenuti invitati all’evento – si passerà mai dalle parole ai fatti. Donatella Stasio

Foto del profilo di Andrea Gentile

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