CARCERI: Carceri, 870 suicidi dal 2000 l`appello delle associazioni: stop alla fabbrica della morte (La Repubblica)

LA REPUBBLICA

 

Carceri, 870 suicidi dal 2000 l`appello delle associazioni: stop alla fabbrica della morte
L`accusa dopo il secondo caso in ventiquattrore a Regina Coeli
Il dossier per ogni detenuto sei minuti l`anno di assistenza dallo psicologo

ROMA. La “fabbrica dei suicidi” lavora a ciclo continuo. Di giorno e, soprattutto, di notte. Dentro le celle “lisce”, così come in quelle sovraffollate. Colpisce i giovani più dei vecchi, gli italiani, più degli stranieri. Sono le
statistiche del carcere a dirlo: i detenuti si tolgono la vita diciannove volte più frequentemente rispetto alle persone libere.

E a rischio sono soprattutto i primi giorni che si passano dietro le sbarre, quando lo choc per l`impatto con le mura della prigione è più forte.
I due detenuti che si sono uccisi in meno di ventiquattr`ore nel penitenziario romano di Regina Coeli riaccendono i riflettori su un pianeta spesso opaco:
quello del carcere. Eppure le morti violente dietro le sbarre sono una vecchia storia, non certo un`emergenza dell`ultima ora. Basta leggere i dati aggiornati del dossier di Ristretti Orizzonti “Morire di carcere”: ben 869 suicidi negli ultimi 15 anni, di cui 44 lo scorso anno e 24 dall`inizio del 2015 (si era arrivati a 72 nel 2009). Insomma non si assiste a un boom, ma solo al consolidarsi dì un male. Per non parlare di chi tenta, senza riuscirci, di togliersi la vita: 20.164 casi dal 1990 a oggi. Alcuni numeri poi sorprendono: gli italiani, per esempio, si uccidono più degli stranieri. Con una presenza di immigrati del 30 per cento sul totale dei detenuti, i suicidi di stranieri risultano solo il 16 per cento. «Tuttavia questa percentuale potrebbe essere sottostimata – si legge nel dossier – in considerazione della maggiore difficoltà a raccogliere notizie sulle morti dei detenuti stranieri, spesso privi di quella rete di sostegno, come famiglie o avvocati, che in molte circostanze fa da cassa di risonanza all`esterno del carcere». Non solo. An che il numero complessivo dei suicidi è probabilmente sottostimato: se un detenuto cerca di uccidersi nella propria cella, ma poi muore in ospedale o in ambulanza, «il suo non sempre negli atti suicidari carcerari».

E ancora: i tossicodipendenti rappresentano il 31 per cento dei suicidi, a fronte di una presenza sul totale dei detenuti di circa il 30%. Si uccidono con più frequenza da definitivi, spesso in prossimità della scarcerazione. «Questo – sostiene la ricerca – può essere indicativo di particolari angosce legate al ritorno in libertà, all`impatto con l`ambiente sociale di provenienza, al rinnovato confronto con la propria condizione di dipendenza».

Solitamente invece avviene il contrario. È l`ingresso in carcere e sono i giorni immediatamente successivi quelli col più elevato “rischio suicidio”. Un esempio: i detenuti per omicidio (che sono solo il 2,4 per cento di tutti i detenuti) rappresentano ben il 13 per cento dei casi di suicidio e molti si tolgono la vita nei primi giorni di detenzione.

Ci sono poi alcuni eventi della vita detentiva, che sembrano funzionare da innesco rispetto alla decisione di farla finita: «Il trasferimento da un carcere all`altro (a volte anche solo l`annuncio dell`imminente trasferimento), l`esito negativo di un ricorso alla magistratura, la revoca di una misura alternativa». Circa un terzo dei suicidi, infine, ha un`età compresa tra í 20 e i 30 anni e più di un quarto ne ha tra i 30 e i 40.

I rimedi? Per monitorare e arginare il fenomeno, dal 2000 il Dipartimento dell` amministrazione penitenziaria ha istituito l`Unità di monitoraggio degli eventi di suicidio. Ma urge fare di più. Ornella Favero, direttrice di Ristretti orizzonti, sottolinea come «gli psicologi siano talmente pochi che possono
spendere sei minuti all`anno per ogni persona che hanno in carico e che sta male». Per Patrizio Gonnella, presidente dell`associazione Antigone, «le due tragedie di Regina Coeli devono indurre a rivedere e se possibile eliminare del tutto la pratica dell`isolamento e a investire energie umane nei reparti dei nuovi giunti, dove a tutti deve essere consentito di vivere in comunità e di avere un sostegno psicosociale adeguato. È questo un compito anche delle Asl.
Nel Lazio, la Regione ha approvato un protocollo per la prevenzione dei suicidi in carcere. Va reso operativo».

E con più agenti penitenziari si ridurrebbero i casi di suicidio? «La questione dei suicidi in carcere non c`entra con il numero degli agenti di polizia penitenziaria – risponde Gonnella rientra già oggi tra i più alti di Europa».
E aggiunge: «Gli Stati generali dell`esecuzione penale, organizzati dal ministero della Giustizia, sono un`ottima occasione per cambiare in meglio le prassi». VLADIMIRO POLCHI

 

Foto del profilo di admin-oua

admin-oua