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Carceri italiane sovraffollate e costose. E chi ha misure alternative non sgarra
Il rapporto Galere d’Italia dell’associazione Antigone denuncia: il 34 % dei detenuti è in attesa di giudizio. Spendiamo 2,7 miliardi euro (140 a notte), tre volte la Spagna, ma solo l’8% è destinato al mantenimento detenuti. Diminuiscono i suicidi.
ROMA- Celle vecchie, sovraffollate e allo stesso tempo costose più di un hotel a tre stelle. E’ questa l’italia delle carceri, troppo piccole per ospitare gli attuali, e in crescita, 53.476 detenuti. Ecosì quattromila non hanno nemmeno un letto a disposizione, altri 9mila che se li sognano gli standard europei di 4 metri quadri a testa di spazio. E tutto questo nonostante ogni persona in prigione costi allo stato 140 euro al giorno, ben 2,7 miliardi di euro l’anno: tre volte quello che spendono in Spagna, il 50% in più della Francia. L’80 per cento del budget miliardario viene però speso per la sicurezza, in personale. Solo l’8 è destinato ai detenuti, per pagare il vitto, corsi, attività o trasferimenti. Cifre minime a raccontare la distanza che ancora ci separa dall’idea illuminista di un carcere che rieduchi, aiuti a rinserire e non si limiti ad essere luogo di pena per chi ha sbagliato.
A fotografare la realtà delle nostre carceri e di riflesso gli effetti di una giustizia troppo lenta, il 34% dei detenuti aspetta ancora una sentenza, è Galere d’Italia, il report annuale dell’associazione Antigone che visita periodicamente gli istituti penitenziari, propone modifiche legislative in cerca di una via concreta “per i diritti e la garanzie nel sistema penale”. Un racconto di luci e ombre, con qualche segnale positivo: per la prima volta diminuiscono i suicidi in carcere, sia tra i detenuti che tra gli agenti. “Segno che conviene a tutti un carcere più umano anche se le cifre restano drammatiche: 43 reclusi si sono tolti la vita, 7000 gli episodi di autolesionismo”
UN TERZO DEI DETENUTI IN ATTESA DI GIUDIZIO
Il dossier racconta un’Italia che cambia, vista da dietro la sbarre dove la popolazione è quasi totalmente maschile, solo 4000 le donne nei penitenziari. Il nostro è un paese dove si delinque meno, ma dove troppi sono gli imputati ancora in attesa di giudizio, il 34 %, molti, troppi rispetto al 20% che è la media europea. E tra questi la maggior parte sono stranieri, non solo perché rappresentano il 37% dei detenuti, a ma perché nella maggior parte dei casi gli immigrati “finiscono dentro per reati minori rispetto agli italiani. Due pesi, due misure, dicono ad Antigone, visto che sono discriminati prima e dopo: il 42 % aspetta la sentenza in cella.
E’ un’Italia dove l’applicazione delle leggi e delle misure alternative varia e di molto a seconda delle regioni. Così se i permessi premio hanno picchi in Lombardia (oltre 9mila su un totale di 29224), Toscana ed Emilia, agli ultimi posti stanno Campania e Lazio. “Un errore visto che tutte le statistiche dimostrano che la concessione dei premi è funzionale a trovare lavoro, a recuperare affetti, in definitiva ad evitare che tornino a delinquere e rifiniscano in cella”, sottolineano gli autori del dossier.
LE CONDANNE E I REATI PIU FREQUENTI
Sono 19.037 detenuti che devono scontare una pena residua inferiore ai tre anni. Ovvero il 56% della popolazione detenuta e condannata ha una pena che, sottolineano all’associazione, potrebbe scontare fuori dal carcere con diminuzione di costi, il miglioramento della qualità di vita fuori e dentro le carceri che cosi praticamente vedrebbero ridursi di un terzo la popolazione “se si cambiassero alcuni paletti normativi”. Ma ancora molto resta da fare per la popolazione carceraria che è sempre più anziana, la media è sui 40 anni, e con una crescita degli ergastolani, 1.633 rispetto al 2011 quando erano 1.446. Ma quali sono i reati più frequenti che portano in cella? Quelli contro il patrimonio, 29913, contro la persona 21468, violazione della legge sulla droga 17676, violazione della legge sulle armi 9897, e associazione a delinquere di stampo mafioso, 6887.
CHI HA MISURE ALTERNATIVE AL CARCERE, NON SGARRA
A sottolineare come sarebbe necessario cambiare norme e comportamenti, perché il carcere non aiuta a reinserire le persone, mentre lo fanno le misure alternative, ANTIGONE segnalata i dati relativi alle persone che stanno scontando una pena detentiva fuori dai penitenziari. Tra loro, e sono 29679, la percentuale di chi sgarra e vede revocata la misura, è inferiore all’1 per cento. Dei quasi trentamila un terzo sono in detenzione domiciliare, per la precisione 10.025. 12.465 sono in affidamento in prova al servizio sociale, 6.457 in lavori di pubblica utilità (la quasi totalità è per violazione del codice della strada), 724 in semilibertà. Rispetto al 2009 c’è stato un raddoppio dell’uso della detenzione domiciliare e un aumento significativo di persone affidate al servizio sociale (5 mila in più in sette anni). Le persone controllate con braccialetto elettronico sono 2700, ” Ben poche rispetto alle richieste della magistratura”.
LA MAGGIOR PARTE DEI DETENUTI ITALIANI DAL SUD
Il gruppo più numeroso è quello dei detenuti di origine campana. Alla fine del 2015 i campani erano 9.635, il 18,5%. Questa percentuale è andata crescendo nel tempo: alla fine del 2005 erano il 12,7%. Più stabile il secondo gruppo di detenuti per regione di origine, ovvero i siciliani, da tempo poco più del 12% del totale dei detenuti. Il terzo gruppo di detenuti per regione di origine sono i pugliesi, che oggi rappresentano il 7,1% degli italiani detenuti.
LA VITA DENTRO I PENITENZIARI
Lo prevede la legge, ma non sempre è garantito il diritto all’affettività e le visite, gli incontri con parenti spesso sono complicati. Tanto che è come se in cella, punito, non ci fosse solo chi ha sbagliato, ma tutta la famiglia.
I dati raccontano meglio di tutto il mondo dell’attesa, di un incontro, di quei minuti concessi nei parlatori dove la riservatezza, l’intimità spesso è un sogno. In 123 carceri è possibile per i familiari prenotare le visite: percentuale di attuazione della legge pari al 63,7%. In 148 carceri è possibile fare colloqui di domenica: percentuale di attuazione della legge pari al 76,6%. In 98 le visite sono sei giorni a settimana: percentuale di attuazione della legge pari al 50,7%. In 172 carceri vi sono spazi, anche se non sempre sufficienti, per i bambini figli di detenuti: percentuale di attuazione della legge pari all’89,1%.
“Gli istituti attrezzati con aree colloquio per famiglie sono ancora in minoranza, Bollate ed Opera sono un esempio con spazi simili a miniappartamenti dove le famiglie possano vedersi con tranquillità”. Proprio i colloqui sono uno degli elementi che più influenza la quotidianità del detenuto. E così nel panorama dei mille piccoli e grandi carceri c’è Frosinone dove i famigliari sono costretti ad attendere parecchie ore in uno spazio esterno con copertura, prima di accedere al colloquio, Palermo dove i parenti si mettono in fila a partire anche dalle 4 del mattino e anche in piccoli istituti (come Eboli) dove non è ancora stato attivato un sistema di prenotazione dei colloqui, così che si creano lunghe file di famigliari in attesa fin dalle prime ore della giornata”.
LA LETTURA
4.352 libri per carcere e 15 libri a detenuto. Molti libri sono però edizioni vecchie e poco utili di testi scolastici.
DIMINUISCONO I SUICIDI
Nel 2015 sono stati poco meno di 7.000 gli episodi di autolesionismo. 43 i suicidi. 79 i decessi definiti per cause naturali. La matematica del dolore dice che si sono dunque ammazzati 8,2 detenuti ogni 10 mila mediamente presenti. Nel 2009, quando i detenuti erano 15 mila in più, la percentuale di suicidi fu di 9,2 detenuti morti suicidi ogni 10 mila detenuti mediamente presenti. Anche la percentuale di decessi naturali è scesa dal 15,9 al 13,6. “Il maggiore spazio, il minore affollamento incide sulle prospettive di vita probabilmente grazie a un controllo socio-sanitario maggiore. E migliora anche la vita degli agenti di polizia penitenziaria. Nel 2015 2 suicidi contro gli 11 del 2014. Conviene a tutti un carcere più umano”, sottolinea l’associazione.
IL LAVORO IN CARCERE
Lavora il 29,73% dei detenuti. Di questi solo una piccola parte, il 15%, ha un datore di lavoro privato. Sono solo 612 i detenuti impiegati in attività di tipo manifatturiero. 208 in attività agricole. Dunque la gran parte lavora per l’amministrazione penitenziaria in attività domestiche. Lavorare in carcere significa essere occupati per poche ore settimanali e guadagnare in media circa 200 euro al mese.
2.376 erano i detenuti iscritti nel secondo semestre 2015 in corsi professionali, pari al 4,55% dei presenti. Erano invece 3.864 nel 2009 per una percentuale del 6,07%. Le Regioni si stanno disimpegnando progressivamente, denuncia l’associazione. “Il problema principale del lavoro in carcere, è che è un lavoro che non c’è. Alla fine del 2014 lavorava in carcere il 27,13% dei detenuti, poco più di un quarto. Ma si tratta ovviamente della media nazionale e di persone che lavorano per pochi soldi e per poche ore a settimana o pochi giorni al mese come avviene al Bancali di Sassari. Di conseguenza, a fronte di istituti come Massa Carrara, che dispone di lavorazioni interne, o di Lodè Mamone in Sardegna, una Casa di Reclusione all’aperto in cui lavorano praticamente tutti i 140 detenuti, ci sono realtà come Enna o Brindisi dove a lavorare sono meno del 15%. E la formazione professionale poi è sempre meno diffusa. Colpa delle Regioni”.
LA SCUOLA
Nel corso dell’anno scolastico 2014/2015 nelle carceri italiane sono stati attivati 1.139 corsi scolastici. 17.096 sono stati gli iscritti, e 7.096 i promossi alla fine dell’anno. Circa la metà degli iscritti e dei promossi erano stranieri. “L’istruzione è un diritto nonché il più grande fattore di emancipazione da scelte di criminalità. Accade però, ad esempio, che a Sassari Bancali ad esempio non siano presenti convenzioni con istituti d’istruzione superiore. I detenuti che intendono accedere alla formazione superiore devono chiedere il trasferimento alla casa di reclusione di Alghero che ha stipulato una specifica convenzione con l’istituto alberghiero e con la facoltà di agraria”, racconta Antigone.
COME RISPAMIARE UN MILIARDO DEPENALIZZANDO LE DROGHE
Una proposta dell’associazione Antigone è un provvedimento di totale depenalizzazione in materia di droghe che produrrebbe una riduzione secca di un sesto delle imputazioni e condanne. “Ci sarebbe poi l’effetto indiretto sui reati connessi, come quelli contro il patrimonio e cosi alla fine si potrebbe determinare la riduzione di un terzo della popolazione detenuta. Il risparmio sarebbe di 930 milioni l’anno che potrebbero essere investiti in misure di sostegno socio sanitario e in attività socialmente utili”. CATERINA PASOLINI