CORRIERE.IT
Celle sovraffollate e suicidi
Carceri lombarde al collasso
Nel 2016 torna a crescere il numero dei detenuti, metà sono stranieri
Ottomila i reclusi negli istituti della regione: 2.000 oltre la capienza
Partiva da qui, dalla Lombardia e precisamente dal carcere di Busto Arsizio, il ricorso che ha dato origine alla cosiddetta sentenza Torreggiani. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo tre anni e mezzo fa definiva il sovraffollamento carcerario «un problema sistemico risultante da un malfunzionamento cronico proprio del sistema penitenziario italiano, che ha interessato e può interessare ancora in futuro numerose persone». Prima di quella sentenza nel carcere di Busto Arsizio si viveva in tre all’interno di celle di 9 metri quadrati senza doccia o acqua calda. I detenuti, dietro le sbarre per venti ore su ventiquattro, erano arrivati a toccare quota quattrocento in una struttura che poteva ospitarne al massimo 238. Dopo la tirata d’orecchi ministero della Giustizia e Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) provano a raddrizzare la situazione. I problemi però non si misurano e soprattutto non si risolvono in metri quadrati. Anche perché, se da un lato negli ultimi cinque anni il numero dei detenuti in Italia è diminuito passando dai 68 mila del 2010 ai 52.164 del dicembre 2015, la cifra è tornata a salire nella prima metà del 2016. Gli ultimi dati del ministero della Giustizia segnano più di 53 mila presenze, 8 mila di queste in Lombardia, dove il sistema carcerario è pronto ad accoglierne poco più di seimila.
Il record in questo senso spetta alla casa circondariale Canton Mombello di Brescia che stando agli ultimi dati ospita più di 340 persone a fronte di una capienza regolamentare di 189 posti: un tasso di affollamento del 180% che rende la casa circondariale bresciana la struttura più affollata in Lombardia e la seconda in Italia dietro soltanto a Latina che tocca un tasso di affollamento del 189%. Non sempre le pene alternative, su cui sonnecchia in Senato un provvedimento per il loro allargamento, sono in grado di offrire un valido cuscinetto di atterraggio. In particolare per i detenuti stranieri che rappresentano il 46% della popolazione carceraria lombarda. I percorsi alternativi alla detenzione sono perlopiù pensati per i detenuti residenti e gli stranieri faticano ad avere un valido appoggio all’esterno oltre che un lavoro che possa garantire loro la sussistenza. Tralasciando per un attimo i numeri si nota come negli ultimi anni «il carcere stia diventando più che un luogo di punizione e rieducazione un collettore di marginalità e malessere oppure parte di un percorso socio-sanitario», spiega Valeria Verdolini dell’Associazione Antigone, che si occupa della condizione dei detenuti. Da qui l’importanza della presenza di educatori e psicologi in carcere, figure che però continuano a essere in numero inferiore rispetto all’organico richiesto. «Da oltre dieci anni — spiega Barbara Campagna, educatrice a San Vittore e coordinatrice regionale Cgil — non si bandiscono concorsi per assistenti sociali ed educatori. Gli psicologi operano solo sotto forma di consulenza oppure per conto dell’azienda ospedaliera per gli interventi sanitari, senza contare gli operatori costretti a coprire più sedi». Un paradosso pensando ai tavoli tecnici organizzati dal ministro della Giustizia Andrea Orlando che hanno messo al centro dell’attività degli istituti proprio la fase di rieducazione e reinserimento. Addirittura una parte di questa delega finisce di fatto alla Polizia Penitenziaria che a sua volta lamenta la mancanza di oltre mille unità. Carenza che determina turni logoranti e condizioni di stress che influiscono sui rapporti col detenuto. «La differenza tra me e le persone che sono detenute — spiega quasi ironicamente un agente — è che alla sera io torno a casa, loro no. Per il resto siamo tutti qui».
Poi ci sono quelli che non ci sono più. I morti di carcere. Negli istituti lombardi, nel corso degli ultimi cinque anni, sono stati 33, sei nell’anno appena trascorso. L’ultimo è Paolo Leone, che si è impiccato nel carcere di Opera il 25 novembre a ventiquattro ore dall’arresto avvenuto la sera precedente dopo il tentato omicidio dell’ex complice. A lui, tra gli altri, si aggiunge anche la donna ventunenne che si è suicidata impiccandosi con un lenzuolo all’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere nel giugno del 2014. L’ex Opg, oggi Rems (Residenze regionali per l’esecuzione delle misure di sicurezza), ospita 143 persone a fronte di una capienza di 104 posti e vi sono indirizzati pazienti autori di reato, giudicati incapaci di intendere e di volere. Nel panorama lombardo una eccezione è rappresentata dal carcere di Bollate, che negli ultimi tempi si è guadagnato la ribalta delle cronache grazie al progetto del ristorante InGalera, dove i detenuti cucinano e servono ai tavoli. Qui su 1.200 detenuti 200 sono ammessi al lavoro esterno. «Fin dall’inizio l’istituto — spiega Massimo Parisi, direttore del carcere di Bollate — è stato concepito per porre al centro il processo di recupero del detenuto. Devo ammettere che qui la collaborazione tra gli operatori, dalla polizia penitenziaria agli psicologi, passando per gli educatori — sottolinea Parisi — è più marcata che altrove. Fattore che permette al detenuto di avere un percorso positivo all’interno della struttura». Luca Rinaldi