LIBERO
Un problema irrisolto da troppo tempo
Le prigioni scoppiano di stranieri
Con tanti saluti all`accoglienza buonista
Il sovraffollamento delle carceri è dovuto ai tantissimi detenuti extracomunitari
Arrivano, non sanno dove andare, finiscono nelle celle. Diventate discariche umane
Se è vero che la democraticità di una nazione è inversamente proporzionale al numero dei suoi detenuti, allora in Italia la democrazia deve essere andata a farsi fottere già da un pezzo (e non è poi una novità). È infatti il sovraffollamento la grave piaga del sistema penitenziario italiano, motivo per il quale la Corte europea dei diritti dell`uomo di Strasburgo ha più volte sanzionato l`Italia per trattamento inumano e degradante, invitandola a porvi rimedio.
Invito accolto alla maniera italiana, ossia attraverso decreti-tampone aventi
una certa logicità ma anche importanti ostacoli all`applicazione e che quindi
non risolvono il problema. Anzi, la situazione diventa sempre più allarmante,
in particolare negli ultimi mesi, sotto la spinta della continua crescita
(ma forse sarebbe più coretto dire «invasione») del numero di immigrati extracomunitari che, quando non soggiornano negli alberghi o nei centri di prima accoglienza (che dovrebbero essere temporanei, ma che assumono sempre un carattere permanente), allora lo fanno nelle celle delle carceri italiane che, per quanto anguste e asfittiche, offrono comunque un
tetto, cibo, possibilità di lavorare e studiare, assistenza e sicurezza.
«Gli stranieri si trovano molto bene all`interno delle nostre carceri, in particolare quella di Bergamo, che offre una notevole assistenza
sanitaria», ci racconta Donato Giordano, Garante dei diritti delle persone
private della libertà personale della regione Lombardia, un tramite tra le istituzioni totalizzanti penitenziarie e la società civile con il compito di garantire che l`esecuzione penale assicuri l`accesso ai diritti costituzionali.
Gli stranieri, in quasi tutti gli istituti, rappresentano più della metà dei detenuti.
Negli istituti di Brescia Canton Monbello, Como e Busto Arsizio costituiscono circa i 2/3 della popolazione detenuta.
Nonostante le carceri lombarde funzionino abbastanza bene, come riferisce
il difensore, che per il suo ruolo può entrare in carcere senza alcuna autorizzazione e fare ispezioni, è chiaro che la convivenza forzata in spazi così ristretti tra persone di cultura diversa, che parlano lingue diverse, rende ancora più infernale la vita del detenuto.
È indicativo il fatto che il numero dei suicidi in Italia aumenta di pari passo con l`aumento del numero dei detenuti e con la diminuzione di quello degli agenti di polizia penitenziaria. Ma non sono soltanto i detenuti a ricorrere al suicidio per liberarsi del peso di una condizione sempre più opprimente,
non mancano infatti anche casi di suicidio da parte del personale penitenziario.
Ma qual è la soluzione possibile al problema del sovraffollamento? «L`applicazione delle misure alternative alla detenzione costituisce
un ottimo strumento per combattere il sovraffollamento. Tuttavia, non è affatto facile applicarle, soprattutto quando si tratta di detenuti extracomunitari». “Il problema del numero civico”, così lo chiamano i
magistrati di sorveglianza e tutti gli addetti ai lavori. Molto spesso, infatti, i detenuti extracomunitari non possiedono i requisiti di accesso alle misure stesse, ossia una casa, una famiglia idonea, un lavoro. Inoltre, «le
ambasciate dei Paesi di provenienza non collaborano affatto, rendendo impossibile l`identificazione dei soggetti e la loro eventuale espulsione», lamenta Giordano, che sottolinea anche come nel momento attuale
di crisi generale in cui il lavoro scarseggia anche per i cittadini italiani, essere extracomunitario ed in più detenuto o ex-detenuto rende praticamente impossibile trovare un impiego.
Ecco che le carceri, da strutture destinate al recupero e al reinserimento sociale, si sono trasformate in centri di accoglienza di tutto ciò che non trova più posto per strada, ripostigli carichi di esseri umani di ogni nazionalità, contenitori di vite in attesa di morire, o di tornare a vivere, o di tornare
a delinquere in modo più feroce di prima. Ed è così che lo Stato fallisce, perché più interessato a punire che ad educare dando il buon esempio che coincide con il rispetto dell`essere umano.
E forse anche questa potrebbe essere una soluzione ai problemi logistici: fare
in modo che chi ne esce non ne faccia mai più ritorno. «Il nostro ruolo è
anche questo: quello di dare speranza. troppo facile lasciarsi andare, c`è
molta rassegnazione. La via da seguire è senza dubbio quella dell`istruzione.
Il riscatto passa attraverso lo studio, per prepararsi alla vita fuori dal carcere anche attraverso l`acquisizione di una competenza professionale che prima dell`esperienza carceraria non si possedeva. Sebbene sovraffollate, le nostre carceri sono organizzate molto bene da questo punto di vista ed importante
è anche il ruolo delle associazioni», afferma Giordano.
Ma studiare non basta. Anche l`esperienza negativa della detenzione può essere un`opportunità quando porta il detenuto a prendere coscienza del reato e a scegliere un cammino diverso dalla devianza. Ma affinché ciò si realizzi risultano fondamentali il ruolo dello Stato, quello della famiglia e quello della società civile che, vincendo il pregiudizio, deve accogliere e dare fiducia al soggetto che ha commesso un errore, affinché continuare a sbagliare non sia l`unica strada che gli resta. NOEMI AZZURRA BARBUTO