L’INDRO
L’ennesimo richiamo dell’Europa per le condizioni di detenzione
Troppi detenuti, meno carcere, più misure alternative. Oltre 40mila con problemi mentali. Nel corposo rapporto elaborato dall’European Committee on Crime Problems, presentato al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, c’è un paragrafo, il ventitreesimo, che mette sotto accusa l’Italia (e l’Ungheria). Riguarda le carceri e più in generale lo stato della giustizia. Vediamo. Si comincia con il ricordare che non da ora la Corte Europea ha denunciato la criticità di questo “problema strutturale”.
La soluzione più appropriata, si osserva, “consiste nell’applicazione più ampia di misure alternative alla detenzione”, provvedimento che, si auspica, “dovrebbe essere ridotta al minimo”. Si riconosce che l’Italia ha avviato riforme che vanno nella giusta direzione, ma al tempo stesso si osserva che malgrado i numerosi interventi sul piano internazionale, nel 2014 la durata della detenzione è aumentata dell’1%, con punte, in alcuni Paesi, del 5%. Il libro bianco, inoltre, ricorda l’importanza di adottare misure in grado di assicurare il pieno rispetto dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo: il divieto di trattamenti inumani e degradanti come interpretati dalla stessa Corte di Strasburgo.
Per questa ragione si raccomanda la “rottamazione” dei vecchi e usurati edifici carcerari, con nuove prigioni moderne in grado di offrire condizioni umane di detenzione: secondo la relazione, “i nuovi istituti penitenziari possono costare meno ed essere più adeguati alle esigenze dei detenuti per la risocializzazione e reinserimento nella società”.
Sempre in tema di carcere: oltre 42mila detenuti italiani – il 77 per cento degli oltre 54 mila totali – convivono con un disagio mentale: si va dai disturbi della personalità alla depressione, fino alla psicosi. Una situazione che comporta conseguenze estreme come l’autolesionismo (circa 7mila episodi in un anno) o il suicidio (solo nel 2014, 43 casi, e oltre 900 tentativi). Il carcere, secondo gli esperti della Società Italiana di Medicina e Salute Penitenziaria, è “un amplificatore dei disturbi mentali: l’isolamento insieme allo shock della detenzione, possono facilitare la comparsa o l’aggravarsi di un problema psichico, a volte latente”.