SETTE – Il Corriere della Sera
Mettiamo le mani sulle nostre prigioni
Le carceri italiane costano ai contribuenti tre miliardi di euro l`anno e generano uno dei tassi di recidiva tra i più alti d`Europa. Ora il governo ha promesso novità
L’utopia è come l`orizzonte. Cammino due passi e si allontana di due passi. Cammino dieci passi e si allontana dieci passi. E allora a che cosa serve l`utopia? A questo: serve per continuare a camminare». Poche volte come in questa citazione dello scomparso Edoardo Galeano – evocata dal professor Glauco Giostra nei due giorni nel carcere romano di Rebibbia a conclusione degli “Stati generali dell`esecuzione penale”, dei cui 18 Tavoli di studio Giostra è stato per un anno il coordinatore scientifico – gli omaggi letterari non sono leziosi. Anzi, sono quanto mai pertinenti ai grandi passi avanti compiuti dall`evoluzione del discorso pubblico sul carcere.
Ancora pochi anni fa, infatti, venivano guardati come marziani l`assistente sociale o il docente universitario, l`agente penitenziario o il giornalista che provassero a mostrare un curioso strabismo sociale: e cioè quello per il quale un`opinione pubblica, che sarebbe giustamente insorta a pretendere la rivoluzione di un ospedale nel quale fossero morti 7 pazienti su io, o di una scuola nella quale fossero bocciati 7 studenti su io, accettava invece come del
tutto insignificante il fatto che nelle carceri 6 detenuti su io tornassero poi a delinquere, a minacciare la sicurezza delle persone e ad aggredirne il patrimonio.
Oggi invece – e di questo va dato atto ai primi due anni di governo di Andrea
Orlando – è addirittura il ministro della Giustizia (e un ministro con un peso
politico nel suo partito, diversamente dai pur individualmente sensibili ex ministri Severino e Cancellieri in governi però tecnici) a martellare sul concetto che il sistema penitenziario italiano «costa ogni anno ai contribuenti quasi 3 miliardi di euro ma genera uno dei tassi di recidiva (56 per cento di media, 67% tra gli italiani) tra i più alti d`Europa», mentre al contrario la recidiva di coloro che non scontano l`intera pena in carcere ma vengono in parte ammessi a una misura alternativa «è di circa il 20%, drasticamente inferiore».
Diventa cioè linea di governo quella che prima era solo pungolo scientifico, la linea del non-per-buonismo-ma-per-convenienza: «Se non cambiamo il carcere, se non lo adeguiamo e umanizziamo, il carcere rischia di funzionare come un fattore moltiplicatore dei fenomeni che pretendiamo di combattere esclusivamente attraverso di esso. Un carcere che preveda trattamenti
individualizzati e l`utilizzo integrato di pene alternative non è un regalo ai
delinquenti, come gridano gli imprenditori della paura, né è la dimostrazione del lassismo dello Stato», ma al contrario è qualcosa che conviene ai cittadini, troppo spesso ingannati dalla «pretesa di affrontare problemi sociali con il ricorso al diritto penale: l`illusione securitaria ha pensato che la segregazione e l`inasprimento delle pene potesse compensare l`indebolimento dello stato sociale».
RISORSE INSUFFICIENTI. Adesso però arriva per il Guardasigilli il banco di prova più difficile: quello delle risorse. È vero che l`emergenza del sovraffollamento carcerario, che era costata all`Italia anche due condanne da parte della Corte europea dei diritti dell`uomo di Strasburgo, è stata tamponata (pur con qualche escamotage a basso “prezzo” come il rimedio compensativo da 8 euro al giorno per i detenuti ristretti in passato in 3 metri quadrati) sino a far scendere le presenze in cella dai 67.97i detenuti del dicembre zoio ai 53.495 del marzo 2016. Ma sono pur sempre ancora 4mila più della capienza regolamentare, e la tendenza mensile è di nuovo a un sensibile aumento.
Ma soprattutto, per quel che più conta nella qualità del trattamento rieducativo, se è pur vero che nel 2010 era in misura alternativa al carcere i solo condannato ogni 4 carcerati, mentre adesso la proporzione è migliorata sin quasi all’1 a 1 (41.000 condannati in misura alternativa contro 53.000
in cella), è però anche vero che ancora non adeguate sono le risorse finanziarie impiegate in questo che tecnicamente è un vero investimento sulle “sanzioni e misure di comunità”, destinato cioè a spendere oggi per produrre domani dividendi sociali di maggiore sicurezza per i cittadini attraverso la minor recidiva dei detenuti.
Su questo versante il ministro ha annunciato che la dotazione degli Uffici dell`esecuzione penale esterna verrà potenziata con «almeno 10 milioni di euro» il prossimo anno: una promessa impegnativa, su cui misurarsi.