IL MESSAGGERO
Orlando: «Nelle nostre carceri ci sono
trecento potenziali jihadisti»
L`ALLERTA
ROMA. Le carceri come luogo di radicalizzazione e proselitismo. Un
problema che è ben chiaro a chi deve occuparsi della sicurezza degli
istituti penitenziari. In Italia le cifre sono destinate ad aumentare, tanto che ieri è stato proprio il ministro della Giustizia Andrea Orlando a parlare dei rischi che comporta il fenomeno. «Le persone sottoposte a monitoraggio sono
circa 300 – ha spiegato – mentre quelle che hanno a che fare con la radicalizzazione e che hanno dato adesione alla jihad sono 39». Trentanove potenziali seguaci dello Stato islamico che inneggiano al Califfo e che sarebbero pronti a immolarsi per la causa. Molti di questi sono gli indagati di inchieste giudiziarie finite con gli arresti. Ventuno sono detenuti nel carcere
calabrese di Rossano, già condannati in prima istanza e trasferiti dopo la chiusura di Macomer. Passano liberamente il loro tempo nella sezione dove sono ristretti. «Sebbene siano continuamente attenzionati- puntualizza Donato Capece, segretario generale del Sappe, il sindacato autonomo de-
gli agenti penitenziari – beneficiano del regime aperto e sono liberi di circolare per diverse ore al giorno. Comunicano tra di loro, passeggiano sotto braccio. Ed è facile che in questa situazione ci sia chi fa proselitismo. Abbiamo gruppi
di personale addestrato, ma forse la loro collocazione più giusta sarebbero
le carceri di Pianosa, dell`Asinara, di Gorgona. Lì potrebbero lavorare e avrebbero meno tempo per protestare o comunicare tra di loro».
LA RIVOLTA
Risale a maggio scorso la notizia di una rivolta avvenuta nel carcere di Piacenza. Due detenuti, forse ubriachi, avrebbero inneggiato all`Isis e alla jihad. E lo stesso avevano fatto dopo la strage di Parigi. Per controllare il fenomeno è stato istituito presso il Dap un servizio di regia per il coordinamento delle informazioni che giungono dagli istituti e per il
collegamento con le altre forze di polizia. «Seguiamo il fenomeno con molta attenzione – aggiunge il ministro della Giustizia – Sono numeri contenuti ma non possiamo trascurarli. Abbiamo visto come in alcuni paesi il problema della radicalizzazione sia esploso in tempi brevi. Il carcere è un luogo nel quale si realizzano forme di radicalizzazione molto rapida. E dobbiamo tenere conto del fatto che un radicalizzato all`interno del carcere può fare grande proselitismo».
In Italia, il decreto antiterrorismo ha avuto, almeno in parte, l`effetto di bloccare la crescita e le intenzioni dei potenziali jihadisti. «E lo ha
fatto anticipando molto la sanzione delle condotte – sottolinea Orlando
– Non viene punito solo chi aderisce in modo formale alla jihad ma anche chi semplicemente si autoaddestra cercando contatti attraverso la rete, o anticipando con dei segnali spia le condotte delle persone. In Europa si sta riflettendo su come trattare i detenuti radicalizzati e che si trovano
in carcere per reati legati al terrorismo.
La Gran Bretagna ha seguito la strada delle pene alternative per chi non ha compiuto reati gravi e ha funzionato. La Francia, che ha seguito un`altra strada che è quella di segregare questa parte di detenuti, ha avuto risultati al momento non eccellenti. Naturalmente non si può dire che ci sia un
rapporto diretto di causa effetto tra modello e risultati, ma è un elemento
di grande riflessione per tutta l`Europa». Cristiana Mangani