L’UNITA’
Palma: «Investire sul reinserimento dei detenuti è molto
più produttivo»
Dal 1 febbraio l`Italia ha finalmente un garante nazionale peri diritti delle persone detenute: Mauro Palma, 68 anni, fondatore di Antigone, l`associazione per i diritti dei detenuti, matematico per formazione, giurista per passione (e laurea hc), alle spalle una lunghissima e talvolta impopolare battaglia per un carcere diverso, fondato su un`idea non puramente afflittiva della pena e una visione garantista e perciò umana della giustizia. Con Palma parliamo degli imminenti Stati Generali dell`Esecuzione Penale, il 18 e 19 aprile, all`interno del carcere di Rebibbia. Un evento fortemente voluto dal ministro Andrea Orlando, e preparato da 18 tavoli cui hanno partecipato circa 200 persone, rappresentative di tutto il mondo carcerario.
Dalla condanna della Corte Europea dei Diritti dell`Uomo che l’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano definì “una conferma mortificante dell`incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena”, agli Stati Generali. Cos`è cambiato? «Intanto sono cambiati i numeri: siamo passati da 67.000 detenuti a poco meno di 54.000 su una disponibilità di quasi 50.000 posti. Anche se nell`ultimo anno c`è stato un aumento. Ciò è avvenuto per la concomitanza di diversi fatti: la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale
l`equiparazione tra possesso di droghe leggere e droghe pesanti, e alcuni interventi del governo: in tema di immigrazione la non previsione del carcere per il solo fatto di essere clandestini; l`intervento sulla cosiddetta ex-Cirielli, con l`eliminazione di quella norma che prevedeva l`esclusione dalle misure alternative per i recidivi a prescindere dal tipo di reato e che creava il paradosso che potessero accedervi gli autori di reati molto gravi e non quelli
di reati minori che sono, per loro natura, seriali; l`innalzamento a 4 anni del residuo di pena che si può scontare con le misure alternative».
Questi sono i numeri che ci dicono tanto, ma non tutto. Bastano per lavare l`onta di quella condanna della Corte Europea? «Le condizioni materiali sono migliorate e questo non è poco, però ora bisogna affermare un`idea del carcere in cui il detenuto non sia trattato come un adulto infantilizzato, ma venga responsabilizzato, sia per la vita che svolge dentro il carcere, che attraverso la gestione delle misure alternative come percorso di reinserimento sociale. Spesso si guarda al carcere come aun luogo da dove non si esce più, ma ciò non aumenta affatto la sicurezza, tanto che l`Italia è uno dei paesi con il più alto tasso di recidiva. Alla comunità, lo dico anche in termini di sicurezza, conviene rovesciare il paradigma: investire su un`idea non puramente afflittiva della pena e sul recupero e il reinserimento del detenuto nel breve periodo può apparire costoso, ma alla lunga è molto più produttivo. Un detenuto che sia avviato fin da subito al recupero rischierà di meno la recidiva e peserà meno economicamente sulla società».
Come deve cambiare la cultura di chi opera nel carcere? «Se penso alla polizia penitenziaria vedo che, malgrado persistano ancora sacche di resistenza, vi sono tantissime intelligenze e una crescita della professionalità. Credo che sia profondamente sbagliato considerarli semplicemente come guardie carcerarie. Se il carcere oggi non ospita più solo delinquenti abituali, ma anche il portato del disagio non diversamente affrontato, è evidente che la professionalità di chi opera nel carcere deve cambiare».
Come? «Gli Stati Generali servono anche a fornire elementi per la riforme che dovranno essere attuate con la legge-delega. E saranno anche il luogo dove progettare quei cambiamenti dell`ordinamento penitenziario necessari a quarant`anni dalla riforma del 1975. Ci fu il provvidenziale intervento della legge Gozzini nel 1986, ma da allora le modifiche introdotte sono state quasi sempre peggiorative».
Non andate un po`controcorrente rispetto a un senso comune che invoca il carcere come soluzione di tutti i mali e non sembra tanto interessato all`umanizzazione del carcere? «La nostra società sembra oggi rifiutare la complessità e rifugiarsi dentro uno schema binario che tende
a risolvere tutte le sue contraddizioni ricorrendo alla legge penale e così il carcere è diventato il luogo dove si scaricano tutti i problemi di cui non si
riesce a venire a capo, ma al tempo stesso ci si rifiuta di conoscerlo. È come se, lo scriveva alcuni anni fa Rossana Rossanda, ci si rifiutasse di guardare e analizzare le ferite del nostro corpo. Gli Stati Generali servono anche a ricordare a tutti che il carcere è parte della società». Carmine Fotia