IL GIORNALE
Detenuto a San Vittore ha i requisiti per scontare la pena a casa
Se la scarcerazione diventa un’odissea
Storia di Danilo: le ferie rallentano i controlli e resta in cella
Milano Sperava di trascorrere l’estate a casa. Libero. È ancora in cella, a San Vittore.
Anche se ogni giorno potrebbe essere quello buono per varcare il portone del carcere. Così dal 17 giugno: un’attesa interminabile in cui la roulette della giustizia deve fare i conti con il rallentamento del periodo estivo, con le ferie dei magistrati, con la farraginosità della macchina burocratica.
Danilo M. ha sulle spalle una condanna a 4 anni per spaccio. Una pena che potrebbe scontare, almeno in parte, in modo soft. Lontano dalle sbarre. Libertà, ma con alcuni obblighi e prescrizioni, come prevede la legge sull’affidamento in prova che pure tiene conto della perenne emergenza carceraria italiana. Dunque il legislatore cerca in tutti i modi strade alternative, così da decongestionare le prigioni. Ma i buoni propositi si scontrano con la realtà, con le pile di pratiche da sbrigare, con il calendario che non fa sconti a nessuno: nemmeno a chi il cielo lo vede solo nell’ora d’aria.
Danilo è in cella ormai da un anno e ci sono tutte le condizioni per imboccare la corsia preferenziale. Il 17 giugno la direttrice di San Vittore Gloria Manzelli scrive al giudice di sorveglianza, trasmettendogli la richiesta di scarcerazione. La concessione dell’affidamento in prova non è automatica, anzi il magistrato potrebbe pure respingere la domanda. Il punto è uno solo: quanto tempo ci vuole per rispondere con un sì o con un no? Naturalmente servono alcuni accertamenti, delegati alla polizia: la verifica dell’alloggio in cui Danilo andrà e uno screening delle persone con cui vivrà. Controlli necessari per scongiurare eventuali ricadute della persona in questione nella rete della criminalità. Accertamenti che sulla carta si possono svolgere in pochi giorni. Tant’è che Danilo, ottimista, regala in giro ai compagni di sventura buona parte del suo vestiario.
Invece i giorni si allungano come un elastico, diventano settimane e poi mesi. Il commissariato incaricato, quello di Milano Mecenate, ha i suoi tempi e i controlli slittano. Danilo attende ma resta sempre dentro. Chiede allora aiuto a Mario Mantovani, uno dei big di Forza Italia, a sua volta arrestato per tangenti e chiuso a San Vittore, nella cella di fronte a quella di Danilo, per 42 giorni nell’autunno del 2015. Mantovani, oggi consigliere regionale impegnato per i diritti dei detenuti, torna il 19 luglio in piazza Filangieri. Va a trovare Danilo, poi si dà da fare per sollecitare la decisione che tarda: telefona al commissariato Mecenate e porta il caso all’attenzione del presidente della Repubblica. Ma l’iter va avanti a rilento. Fra luglio e agosto anche i magistrati vanno in vacanza e pure le istituzioni tirano il fiato. Tutto diventa più lento e complicato: ritardi come quello di questa storia, fanno notare a Palazzo di giustizia, sono tutto sommato routine e se poi si considera qualche altro disguido, più un pizzico di sfortuna, la vicenda diventa ordinaria. La libertà è a un passo, ma il circuito burocratico-giudiziario può tenerti sospeso per 60, 70, 100 giorni.
Ora la pratica è andata avanti e la risposta, in un senso o nell’altro, dovrebbe essere vicina. Danilo potrebbe tornare a casa, dove lo aspetta la sua compagna. Altri detenuti devono pazientare con buona pace di tutte le norme svuota carceri che devono fare i conti con la realtà. E spesso restano prigioniere della trafila burocratica. Come i carcerati che dovrebbero liberare. Stefano Zurlo