IL CORRIERE DELLA SERA
La relazione della commissione presieduta da Manconi
«Troppi divieti insensati»
Le richieste al governo per un 41 bis «più umano»
ROMA Il cosiddetto «carcere duro» è diventato in molti casi troppo duro, ben oltre l`esigenza di tagliare e impedire i rapporti tra i detenuti e la criminalità
organizzata di appartenenza.
Ecco perché la commissione Diritti umani del Senato, al termine di quasi due anni di indagine conoscitiva sull`applicazione dell`articolo 41 bis dell`ordinamento penitenziario introdotto dopo le stragi di mafia del 1992, in una relazione approvata ieri a maggioranza (favorevoli tutti i gruppi tranne Forza Italia e Movimento 5 stelle) affida a governo e Parlamento una serie di raccomandazioni. Tra le quali spicca la necessità di sorvegliare con maggiore attenzione la proroga di un regime di detenzione speciale che «dovrebbe essere applicato solo eccezionalmente e per limitati periodi di tempo», mentre c`è la preoccupazione che attraverso una «prassi della proroga» troppo disinvolta e routinaria, si finisca per non rispettare la ratio della legge. In particolare ci vorrebbe «una più accurata istruttoria» nei confronti delle persone «incapaci di intendere e di volere».
La commissione ritiene necessario «adeguare alcune strutture a standard minimi di abitabilità», nonché «rivedere le limitazioni al possesso di oggetto
nelle camere detentive», cioè le celle, «riservandole a ciò che ha effettiva incidenza sulle possibilità di comunicazione con l`esterno». L`organismo
presieduto dal senatore Luigi Manconi ha visitato molti degli istituti dove sono rinchiusi i 729 carcerati al «41 bis» (tra cui 7 donne, i dati risalgono
al 31 dicembre), raccogliendo indicazioni su quello che lo stesso Manconi definisce un «surplus di afflizioni, privazioni e restrizioni che non sembra
avere ragion d`essere nella logica, prima ancora che nella legge».
La relazione evidenzia che «c`è un limite preciso ai capi di biancheria che possono essere tenuti in cella, in molti casi considerato insufficiente; in alcuni
istituti i sandali non possono essere indossati prima del 21 giugno», e se fa caldo prima pazienza. «Non si possono indossare abiti “firmati” perché potrebbero portare a episodi di conflittualità tra detenuti, ma non è chiaro in base a quale criterio si possa stabilire quando un abito sia o meno “firmato”». A un anziano detenuto con l`hobby della pittura «è stata negata l`autorizzazione a tenere in cella tela e colori, e può dipingere solo un`ora al giorno nella stanzetta della socialità», mentre uno che s`è laureato discutendo la tesi attraverso il vetro divisorio si lamenta che il tempo passato al computer venga sottratto all`ora d`aria. E ancora: «Alle pareti non è possibile tenere fotografie o altre immagini: in moltissimi casi questo divieto è stato presentato come esempio di una eccessiva rigidità e di una certa volontà punitiva».
Tra i reclusi al «carcere duro» 29 lo sono da più di vent`anni (compresi i capimafia Totò Riina e Leoluca Bagarella), 161 fra dieci e venti, 321 fra i
quattro e i dieci anni, e 204 da meno di quattro anni. I tre quarti (73,1 per cento) hanno almeno una condanna definitiva, e poco meno (70,8 per cento)
sono in galera per il secondo comma dell`articolo 416 bis del codice penale: organizzatori e capi delle varie associazioni mafiose; i121,3 per cento sono
invece mafiosi «semplici», cioè partecipanti (non promotori) all`organizzazione criminale; 1`1,6 per cento sono accusati «solo» di omicidio, lo 0,3 per strage e l`1,3 di estorsione. Tra le mafie di appartenenza spicca la camorra (40,3 per cento), seguita da Cosa nostra (27,6) e
dalla `ndrangheta(21,7). I terroristi sono soltanto sei. «Su questa norma faremo le barricate, se qualcuno pensa di fare cortesie a qualche amico
capomafia si sbaglia», tuona il grillino Giarrusso. Ma la commissione non mette in dubbio la legittimità del «carcere duro»; si tratta solo, spiega Manconi, «di verificare che rimanga nei limiti previsti dalla legge, senza sconfinamenti ingiusti e inutili». Giovanni Bianconi