IL SOLE 24 ORE
Revisione contratti. La Cassazione riapre una causa trentennale relativa a un cantiere di manutenzione stradale
Appalti, il Consiglio decide il prezzo
Milano. Non basta il via libera del sindaco e/o della giunta comunale per far scattare la revisione dei prezzi nel contratto di appalto. L’incremento dei costi per la Pa-committente diventa efficace, e produce quindi effetti per il creditore-appaltatore, solo con la delibera del Consiglio comunale, unico organo abilitato a manifestare la volontà dell’ente.
La Prima civile della Cassazione, con la sentenza 23628/16 depositata ieri, rimette in gioco un procedimento aperto da quasi trent’anni in Basilicata e relativo a lavori di manutenzione stradale. Si trattava di un piccolo appalto del Comune di Noepoli (Potenza) – poco più di 200 milioni di lire, valore nominale a fine anni ’80 – per il quale, all’esito dei lavori, la Giunta municipale aveva previsto appunto la revisione dei prezzi. Da qui l’impresa esecutrice aveva ottenuto, tra l’altro, un decreto ingiuntivo a titolo di interessi per il ritardato pagamento – poi revocato – calcolando il dies a quo dalla data delle delibera di Giunta, non essendo necessario – secondo la versione dell’impresa – neppure alcuna domanda di “azionamento” da parte del creditore.
La Prima sezione civile ha però accolto il ricorso dell’amministrazione comunale, cassando la decisione dell’appello di Potenza che aveva considerato titolo valido per il pagamento la delibera della giunta municipale. Per i giudici di legittimità, infatti, c’è una «consolidata giurisprudenza di questa Corte» che riconosce solo ed esclusivamente al Consiglio comunale il potere di manifestare la volontà dell’ente (Sezioni Unite, sentenza 4463/09 e, precedentemente, 6993/05). Già nel 1999 (sentenza 165) il massimo organo giurisdizionale aveva stabilito che «non può assurgere a valido ed efficace riconoscimento del diritto dell’appaltatore alla revisione il provvedimento, pur espressamente attributivo della revisione stessa, pur quando adottato dal sindaco e dalla Giunta municipale in via d’urgenza, ove la delibera non sia stata ratificata dal Consiglio comunale».
In sostanza, scrive la Prima, pur essendo la revisione di prezzi un istituto «strutturato come un procedimento concessorio rimesso alla discrezionalità dell’amministrazione appaltante», esso risponde a una serie di leggi che lo “fissano” alla capacità di manifestazione della volontà dell’ente. A cominciare dal Regio decreto 148 del 1915 che pone a capo del consiglio comunale il potere di deliberare nuove e maggiori spese, «nonché lo storno di spese da una categoria a un’altra del bilancio», e non invece della giunta municipale. E anche quando all’esecutivo comunale viene concesso di deliberare sul tema in via d’urgenza, l’efficacia della decisione rimane subordinata alla ratifica dell’organo elettivo (il Consiglio).
Il contenzioso sulla manutenzione della stradina di Noepoli riguardava anche un tema di riconoscimento implicito dell’obbligazione, considerato che l’impresa esecutrice aveva incassato nel tempo un acconto sul conteggio degli interessi del prezzo revisionato. Anche su questo punto, però, la Prima sezione civile ha ritenuto che lo stesso «riconoscimento implicito» del debito è legato alla validità del titolo da cui nasce il rapporto; pertanto la manifestazione di volontà da cui origina l’obbligazione deve provenire dall’organo deliberativo del soggetto pubblico appaltante. Quindi la percezione dell’acconto, scrive la Corte, può ritenersi «riconoscimento implicito» del debito da parte della stazione appaltante «solo in quanto riconducibile a una volontà dell’organo del Comune a tanto abilitato». Alessandro Galimberti