IL SOLE 24 ORE
Cassazione. I giudici esaminano gli effetti della cessata materia del contendere in relazione ai costi della lite
Autotutela senza compensazione
In caso di atto viziato fin dall’origine le spese sono a carico dell’ufficio
Se la cessazione della materia del contendere deriva da un’autotutela dell’ufficio che annulla un vizio dell’atto esistente fin dall’origine, non si possono compensare le spese. Il giudice può infatti evitare la condanna dell’amministrazione se vi sia stata una diversa valutazione del provvedimento in virtù di un’obiettiva complessità della materia. Ad affermarlo è la sentenza 7273/2016 della Cassazione depositata ieri.
La vicenda riguarda l’impugnazione in Cassazione di una sentenza della Ctr che aveva disposto la compensazione delle spese di giudizio su una cessata materia del contendere. Più precisamente, l’Agenzia aveva annullato in autotutela l’accertamento emesso e aveva chiesto l’estinzione del giudizio di appello e la compensazione delle spese.
Il contribuente, pur accettando la rinuncia all’appello, aveva comunque richiesto la vittoria delle spese di lite.
Il giudice di seconde cure, tuttavia, aveva disposto la compensazione e quindi il contribuente era ricorso alla Suprema Corte, lamentando un’errata interpretazione della norma regolante la materia, nonché un’erronea motivazione.
I giudici di legittimità, accogliendo il ricorso, hanno innanzitutto ricordato che l’articolo 44 del Dlgs 546/92 dispone che se il ricorrente rinuncia al ricorso deve rimborsare le spese alle parti, salvo diverso accordo tra loro.
Il successivo articolo 46 disciplina l’estinzione del giudizio, precisando che le spese restano a carico della parte che le ha anticipate, salvo diversa disposizione di legge.
La Cassazione, già in pregresse decisioni, aveva affermato che nel processo tributario, la cessazione della materia del contendere per annullamento dell’atto in sede di autotutela non comporta necessariamente la condanna alle spese. A tal fine occorre verificare se tale annullamento consegua a una manifesta illegittimità del provvedimento impugnato sussistente sin dal momento della sua emanazione, perché in tal caso, il contribuente ha diritto al ristoro delle spese.
Nella diversa ipotesi in cui l’annullamento consegua a una obiettiva complessità della materia, l’annullamento dell’ufficio può essere considerato un comportamento conforme al principio di lealtà, da premiare con la compensazione delle spese (Cassazione n. 22231/11 e n. 19947/10). Nella specie, la Suprema Corte ha rilevato che nel verbale dell’udienza risultava l’annullamento degli atti impositivi, la rinuncia da parte dell’ufficio all’appello e la richiesta di compensazione, ma non risultava alcuna verifica sulle ragioni di tale annullamento.
Dinanzi quindi, alla richiesta del contribuente di condanna alle spese della parte pubblica, il giudice di merito avrebbe dovuto riscontrare se l’atto impositivo avesse un vizio fin dalla sua emanazione ovvero se l’autotutela fosse frutto di una diversa valutazione della materia.
Il chiarimento è importante poiché a volte gli uffici “pretendono” la compensazione delle spese per il sol fatto di aver annullato l’atto. È il caso, ad esempio, di un accertamento non firmato o firmato da un soggetto non legittimamente autorizzato, o emesso su un errato presupposto giuridico. Alla luce di tali principi è opportuno che il contribuente, con specifiche memorie, dia adeguato rilievo del vizio originario e della sua volontà di non accettare la compensazione delle spese.
Da segnalare che tali principi devono ritenersi applicabili anche in seguito alla riforma del contenzioso tributario. Il Dlgs 156/2015 ha modificato l’articolo 46 limitando la compensazione delle spese di lite alla cessazione della materia del contendere solo nelle ipotesi di definizione delle pendenze tributarie previste dalla legge. A tal riguardo la circolare 38/E/2015 ha precisato che tali ipotesi sono ravvisabili, ad esempio, a seguito di condono, con la conseguenza che per i vizi contenuti nell’originario provvedimento impositivo, il giudice dovrà attribuirle all’amministrazione. Laura Ambrosi