CASSAZIONE: Cassazione, stretta sul ne bis in idem (Il Sole 24 Ore)

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Doppia punibilità. La Corte sottolinea anche che il provvedimento amministrativo deve essere irrevocabile
Cassazione, stretta sul ne bis in idem

Milano. Se tra due violazioni – una di natura amministrativa, l’altra penale – c’è un rapporto di «progressione illecita» (e non di specialità) il giudice non può rilevare il ne bis in idem ma piuttosto deve sollevare una questione di legittimità costituzionale. E, in ogni caso, il divieto di secondo giudizio presuppone la definitività del procedimento amministrativo.
La Terza penale della Cassazione torna sul tema della sentenza Grande Stevens vs Italia (decisione 25815/16, depositata ieri) dando una lettura restrittiva del principio di doppia punibilità e intervenendo in un caso molto particolare.
I fatti di causa erano relativi a una sentenza del Tribunale di Asti che aveva mandato assolto – per ne bis in idem, appunto – un imprenditore accusato di omesso versamento dell’Iva. Il procuratore generale di Torino aveva quindi impugnato il verdetto direttamente in Cassazione per erronea applicazione dell’articolo 649 del codice di procedura penale (divieto di secondo giudizio), sostenendo che il giudice di merito aveva erroneamente qualificato come penale la sanzione amministrativa e come penali i procedimenti sanzionatori relativi ai fatti contestati.
Pur riconoscendo la «ratio composita» del ne bis in idem previsto dall’articolo 649 del codice di procedura – come presidio di ordine pubblico processuale funzionale alla certezza delle situazioni giuridiche accertate da una decisione irrevocabile, ed espressione inoltre di un diritto civile e politico dell’individuo – la Terza prende le distanze dalla decisione del giudice piemontese partendo proprio dall’analisi della fattispecie incriminante. L’articolo 10-ter del decreto legislativo 74/2000, infatti, già dalle Sezioni Unite del 2013 (n. 37424) era stato inquadrato come «progressione illecita» rispetto alla violazione amministrativa prevista dal dlgs 471/97 (articolo 13, omesso versamento dell’imposta entro il mese successivo alla maturazione del debito mensile Iva): ciò in quel periodo storico, antecedente alla sentenza Grande Stevens della Corte di Strasburgo, aveva come conseguenza la doppia applicabilità delle sanzioni. Oggi, scrive la Corte, per dirimere la questione della duplicazione sanzionatoria di tale illecito «l’unica via percorribile per dare attuazione al diritto convenzionale di ne bis in idem è necessariamente quella che passa attraverso una questione di legittimità costituzionale per violazione dell’articolo 117 comma 1 della Costituzione». Tuttavia, annota ancora il relatore, nel caso specifico non c’erano neppure gli estremi per una remissione alla Consulta, poiché nel procedimento penale non c’è la prova che l’accertamento tributario contestato fosse già definitivo; circostanza, questa, che priva la stessa Corte procedente a rilevare d’ufficio la questione di legittimità.
Lo stesso discorso può poi essere replicato in relazione al ne bis in idem recepito nella legislazione europea (articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali della Ue, citato anche dal tribunale di Asti): il difetto di prova in ordine alla definitività dell’irrogazione della sanzione amministrativa non permette alla Terza penale di sollevare d’ufficio la questione pregiudiziale.
Infine, la Corte ricorda che il 12 maggio scorso la Corte Costituzionale ha rilevato che il divieto di doppia punibilità ha natura processuale e non sostanziale, rimettendo pertanto al legislatore «le soluzioni alle frizioni che tale sistema genera tra l’ordinamento e la Cedu». Alessandro Galimberti

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