IL SOLE 24 ORE
Penale. L’avviso di conclusione dell’inchiesta penale vale anche per i risvolti amministrativi e tributari
Chiusura indagini a effetto ampio
Milano. L’avviso di conclusione dell’indagine preliminare è un atto idoneo a informare l’imputato della possibilità di estinguere il reato assolvendo il debito erariale nei tre mesi previsti dalla legge. L’equipollenza del cosiddetto ”415-bis” – l’atto di chiusura formale dell’inchiesta penale – all’avviso di accertamento fa pertanto anche scattare il calcolo temporale per la decadenza dal diritto.
La Corte di Cassazione (Terza penale, sentenza 30001/16, depositata ieri) torna a occuparsi della efficacia degli atti penali agli effetti (anche) amministrativi, nel solco di una giurisprudenza recente e comunque uniforme.
Il caso prende le mosse dalla condanna, confermata in appello dai giudici di Palermo, di un imputato incarcerato per omissione contributiva all’Inps, per un importo di poco inferiore a 13mila euro (e quindi sopra anche alle recenti soglie di imputabilità). Tra i motivi del ricorso di legittimità, il contribuente condannato sottolineava le modalità della notifica dell’”Acip”, avvenuta in carcere e – asseritamente – senza neppure l’allegato circa la posizione debitoria verso l’istituto e le modalità di estinzione della pendenza. Secondo la difesa dell’uomo, inoltre, solo un operatore del diritto avrebbe avuto la capacità di comprendere appieno il significato di quell’avvertenza «erroneamente ritenuta dai giudici come idonea a rendere edotto l’imputato della possibilità di usufruire della causa di non punibilità» .
La Terza penale però, ha ripreso sul punto, validandole, le motivazioni dei giudici di merito, partendo dal dato di fatto secondo cui l’avviso del 415-bis conteneva anche l’elaborato dell’Inps con gli avvertimenti decadenziali previsti dall’avviso di accertamento. Tale circostanza, scrive il relatore, si evince dalla copia conforme a quella notificata al difensore e divenuta parte del fascicolo processuale.
A giudizio della Terza, inoltre, la più recente gurisprudenza di legittimità ritiene che il termine di tre mesi per corrispondere l’importo dovuto, «ai fini della integrazione della causa di non punibilità del reato, decorre dal momento in cui l’indagato, o imputato, oltre ad essere informato del periodo di omesso versamento, dell’importo dovuto e del luogo dove effettuare il pagamento, risulti anche posto a conoscenza della possibilità di ottenere» l’esclusione della pena. Tuttavia, aggiunge la motivazione, la consapevolezza di tale facoltà può essere acquisita in qualsiasi forma, «non presupponendo la comunicazione di un avviso formale in ordine ai benefici conseguibili per effetto del pagamento del trimestre». Un caso analogo, ancorché riferito ai motivi di appello proposti dall’imputato medesimo, era stato risolto da ultimo nella sentenza della medesima sezione n. 46169 di due anni fa.
Tra l’altro l’effetto sospensivo, agli effetti della prescrizione penale, dei tre mesi per l’adempimento previsti nel dl 463/1983 – che l’imputato aveva fatto decorrere infruttuosamente – per colmo di sua sventura gli era anche costata la sopravvivenza di una “coda” delle imputazioni, mentre la gran parte era appunto finita prescritta. Alessandro Galimberti