IL SOLE 24 ORE
Cassazione/1. Un’ordinanza dei giudici di legittimità fa il punto sulle regole che devono seguire le società
Compensi indeducibili senza voto
L’«assegno» agli amministratori deve essere approvato in assemblea
Sono indeducibili i compensi agli amministratori che non sono stati espressamente approvati dall’assemblea dei soci: occorre, infatti, una delibera specifica ovvero che in sede di approvazione del bilancio siano esplicitamente discussi ed approvati. A confermare questo principio è la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 11779 depositata ieri.
L’agenzia delle Entrate notificava due avvisi di accertamento ad una società disconoscendo la deducibilità del compenso agli amministratori poiché mancava una specifica delibera assembleare. I provvedimenti venivano impugnati dinanzi al giudice tributario che per entrambi i gradi di merito, annullava la pretesa. In particolare, la Ctr rilevava che trattandosi di una società di capitali a ristretta base (due soli soci anche amministratori), l’assemblea totalitaria di approvazione del bilancio poteva contenere anche argomenti non inseriti nell’ordine del giorno, con la conseguenza che tale delibera poteva valere ai fini della deducibilità dei predetti compensi. L’Agenzia ricorreva così per Cassazione ribadendo che ai fini della deducibilità delle somme corrisposte agli amministratori occorreva una specifica delibera assembleare.
La Corte, accogliendo il ricorso dell’Ufficio, ha richiamato l’orientamento ormai consolidato che si è formato sul punto.
Nell’ipotesi in cui la misura del compenso degli amministratori di società non è stabilità nell’atto costitutivo, è necessaria un’esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi già contenuta nell’approvazione del bilancio.
Sebbene, infatti, la delibera di approvazione possa riguardare anche la posta relativa ai compensi degli amministratori, non è idonea a tal fine, attesa la previsione di due diverse delibere richiesta dal codice civile (articolo 2364 n. 1 e 3).
L’unica eccezione, potrebbe riguardare l’assemblea totalitaria che, seppur convocata solo per l’approvazione del bilancio, potrebbe aver espressamente discusso ed approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori.
La necessità della preventiva delibera è funzionale alla certezza del costo con la conseguenza che in assenza, lo stesso è indeducibile. Nella specie, il giudice di appello non aveva verificato se la citata assemblea di approvazione del bilancio, sebbene fosse totalitaria, avesse espressamente discusso ed approvato i compensi dedotti nell’esercizio.
L’orientamento della Suprema Corte trae origine da una decisione assunta a Sezioni unite (n. 21933/2008) non riferita però all’ambito tributario, ma civilistico, relativo cioè alla richiesta di alcuni amministratori di vedersi riconoscere dalla società – che invece si opponeva – un determinato compenso. Quest’ultimo, infatti, secondo l’alto consesso, non può essere deciso unilateralmente dal creditore (amministratore), ma richiede necessariamente il consenso manifestato dalla società mediante una formale deliberazione dei soci così come espressamente richiesto dal codice civile. A tal fine è irrilevante il “fatto compiuto” ossia l’appostazione in bilancio degli importi, poiché si tratta di un vizio di nullità insanabile riferito al consenso sul quantum del compenso.
Sotto un profilo tributario la relazione che intercorre tra il vizio di invalidità della delibera e la deducibilità del costo è legata all’assenza dei requisiti di certezza e determinabilità. La norma tributaria, infatti, richiede che sia certa l’esistenza del costo e determinabile in modo obiettivo l’ammontare, con la conseguenza che, con specifico riguardo al compenso amministratore, occorre la conformità del titolo giuridico con il quale può essere corrisposto. Secondo l’orientamento della Cassazione (si veda la sentenza 21953/2015) quindi in assenza di delibera, manca il titolo affinché si possa pagare il compenso e pertanto le somme sono indeducibili. Laura Ambrosi