IL SOLE 24 ORE
Fisco. Il contenzioso con i dipendenti
Conciliazione esecutiva, l’importo diventa deducibile
Il costo sostenuto dall’azienda per una transazione con un dipendente definita in sede giudiziale può essere dedotto dal reddito d’impresa nel periodo d’imposta in cui il verbale di conciliazione è reso esecutivo. Inoltre, il contribuente non è mai libero di scegliere arbitrariamente l’esercizio di imputazione dei costi, dovendo operare la deduzione nel periodo di competenza. Sono questi i principi di diritto che la Corte di cassazione, quinta sezione civile, ha confermato con la sentenza 11728/2016.
Per quanto riguarda il primo profilo, secondo i giudici di legittimità, «in tema d’imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, la somma dovuta dal datore di lavoro al lavoratore a seguito di controversie di lavoro, conclusasi con verbale di conciliazione dinanzi al giudice del lavoro, va dedotta dal reddito imponibile nell’anno d’imposta in cui il giudice ha conferito al predetto verbale valore esecutivo, in quanto, solo dopo che il verbale è stato dichiarato esecutivo, lo stesso non è più modificabile e, quindi, gli eventuali oneri che ne derivano per una delle parti assumono il carattere della certezza, che è una delle condizioni della deducibilità fiscale».
La pronuncia individua nell’esecutività del verbale di conciliazione il momento in cui il costo può essere considerato certo e quindi deducibile.
A tal riguardo si osserva che l’articolo 185, ultimo comma, del codice di procedura civile prevede che, in sede giudiziale, il processo verbale di conciliazione costituisce di per sé titolo esecutivo così come, in materia di mediazione, l’articolo 12 del Dlgs 28/2010 conferisce esecutività all’accordo sottoscritto dalle parti e dagli avvocati.
La sostanziale coincidenza del perfezionamento del verbale di conciliazione e della sua efficacia esecutiva non pone, quindi, dubbi in tema di deducibilità fiscale. Diversamente, qualora l’effetto esecutivo dovesse sopraggiungere alla sua efficacia giuridica, si potrebbe disquisire se, ai fini dell’imputazione temporale del costo, sia necessario attenderne l’esecutività ovvero, come si ritiene preferibile, sia sufficiente a conferire certezza alla componente di costo la definitività dell’atto stesso.
La Corte ha inoltre avuto modo di approfondire, sempre nella sentenza 11728/2016, l’aspetto legato all’accertamento dei costi dedotti in violazione del principio di competenza cassando, senza rinvio, la sentenza della Commissione tributaria regionale, nella parte in cui affermava che l’imputazione di un costo non di competenza potesse generare unicamente l’applicazione di sanzioni e interessi senza comportare, tuttavia, il recupero della minor imposta versata per effetto della deduzione non spettante.
Seguendo un orientamento ormai consolidato (fra tutte Cassazione 6331/2008), i giudici hanno invece ribadito il principio secondo cui il contribuente non è libero di scegliere arbitrariamente l’esercizio di imputazione dei costi, dovendo necessariamente operare la deduzione nel periodo di competenza, con obbligo di corrispondere al fisco, non solo le sanzioni e gli interessi, ma anche la maggiore imposta dovuta.
La maggiore imposta assolta nel (corretto) periodo di competenza potrà, quindi, essere recuperata – ove i termini per rettificare l’originaria dichiarazione o per la presentazione dell’istanza in base all’articolo 38 del Dpr 602/1973 siano decorsi – richiedendone la restituzione, «proponibile, nei limiti ordinari della prescrizione ex art. 2935 c.c., a far data dal formarsi del giudicato sulla legittimità del recupero dei costi in relazione alla annualità non di competenza». Quest’ultimo passaggio non appare invero chiarissimo quanto al termine entro cui è azionabile il diritto alla restituzione.
Per completezza, occorre ricordare che, al di fuori del contenzioso tributario, la circolare 31/E/2012 dell’agenzia delle Entrate ha ammesso la possibilità, in sede di accertamento con adesione, di richiedere la compensazione tra l’imposta oggetto di contestazione per carenza del requisito di competenza e l’imposta rimborsabile che emergerebbe dalla corretta imputazione del componente di reddito, con conseguente corresponsione da parte del contribuente, a parità di imposte nei diversi periodi, dei soli interessi e sanzioni.
Si richiama, infine, quanto chiarito dalla circolare 31/E/2013 delle Entrate, la quale consente, in ipotesi di correzione spontanea degli errori contabili sulla competenza da parte dei contribuenti, di attivare una procedura di compensazione tra la maggiore e la minore imposta di due diversi esercizi, a condizione che siano comunque corrisposti i relativi interessi e sanzioni.
Alessio Vagnarelli Stefano Zambelli