CASSAZIONE: Custodia in carcere per il proselitismo sulle rete pro-Isis (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

 

Cassazione. Se l’apologia è finalizzata al terrorismo

Custodia in carcere per il proselitismo sulle rete pro-Isis

 

 

Roma. È giustificata la custodia cautelare in carcere per il cittadino marocchino che attraverso Facebook indottrina ai principi dell’Isis e incita a compiere atti terroristici. La Cassazione, con la sentenza 46178, respinge il ricorso della difesa dell’uomo contro la decisione del Tribunale di confermare la misura cautelare più restrittiva. Il provvedimento era seguito alle indagini compiute dalla Digos e da alcune questure, che avevano monitorato la rete Internet in quanto luogo di reclutamento e affiliazione a organizzazioni terroristiche internazionali. Tra gli “amici” social del ricorrente, in Italia da oltre 15 anni, c’erano persone già note agli inquirenti come simpatizzanti di gruppi terroristici. Nel suo diario, l’indagato scriveva «ha successo chi muore martire. Chi cancella i peccati versando il sangue entrerà nel paradiso profumato» o «per alcuni sono assassini Per le mamme del medio oriente sono eroi» per esortare, infine, alla “jihad”. Per il suo legale si trattava dell’innocuo passatempo, seguito al licenziamento, da parte di un soggetto «incosciente e di una immaturità preoccupante», elementi questi che farebbero escludere il dolo richiesto dall’articolo 414 del Codice penale sull’istigazione a delinquere. La Cassazione avalla invece la scelta del tribunale che, nel confermare la misura, aveva chiarito quando la libera manifestazione del pensiero e l’apologia diventano un reato. Per integrare il delitto, previsto dall’articolo 114 del Codice penale, non basta esternare un giudizio positivo su un crimine, per quanto odioso questo possa apparire alle persone sensibili, serve un passo in più. Occorre, infatti, che chi esprime il suo “pensiero”, sia per la sua condizione personale e per le circostanze di fatto nella posizione di determinare un rischio, non teorico ma concreto, di passare ai fatti. Anche l’esaltazione di un fatto o di un reato, finalizzata a spronare gli altri all’imitazione, non è di per sé punibile, a meno che, per le sue modalità, non sia idonea realmente a provocare la commissione di delitti. Un accertamento che spetta al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivato. Non passa la tesi sulla scarsa consapevolezza dell’indagato circa la gravità delle sue azioni come conseguenza di una preoccupante immaturità. Per i giudici il dolo è dimostrato dall’accanimento con il quale il ricorrente espletava la sua esclusiva occupazione. Tra l’altro con grande padronanza dei mezzi informatici. Patrizia Maciocchi

Foto del profilo di Andrea Gentile

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