ITALIA OGGI
Fallimenti, revocatoria degli atti solo se il risanamento è inattuabile
Prima sentenza di legittimità sui piani attestati di risanamento introdotti nel 2005 con la riforma della legge fallimentare. Con la pronuncia della Corte di cassazione n. 13719 depositata il 5 luglio 2016, i supremi giudici hanno fissato il principio di diritto che statuisce, quando gli atti posti in essere in esecuzione di un piano di risanamento attestato possano essere soggetti ad azione revocatoria. I giudici del Palazzaccio sostengono che in tema di azioni revocatorie relative agli atti esecutivi del piano attestato di risanamento di cui all’art. 67, c. 3, lett. d), legge fallimentare, il giudice di merito, per ritenere non soggette alla domanda di revocatoria proposta dalla curatela fallimentare gli atti esecutivi del piano attestato medesimo ha il dovere di compiere, con giudizio ex ante, una verifica mirata alla manifesta attitudine all’attuazione del piano di risanamento, del quale l’atto oggetto di revocatoria da parte della curatela costituisce uno strumento attuativo. In sostanza, quando il curatore fallimentare chiede la revocatoria degli atti riferiti a un risanamento attuato con un piano attestato, per ritenere che l’esenzione ex art. 67, c. 3, lett. d) operi, occorre verificare che il piano sia stato utilizzato in modo corretto e dunque che lo stesso risultasse ex ante effettivamente fattibile economicamente. La sentenza n. 13719/16, infatti, richiama la precedente pronuncia della cassazione (sent. n. 11497/14) in base alla quale se il sindacato del giudice sulla fattibilità giuridica, intesa come verifica della non incompatibilità del piano con norme inderogabili, non incontra particolari limiti, il controllo sulla fattibilità economica intesa come realizzabilità nei fatti del medesimo, può essere svolto solo nei limiti della verifica della sussistenza o meno di una assoluta manifesta inettitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi mediante una sia pur minimale soddisfazione dei creditori chirografari in un tempo ragionevole. Tale principio, sebbene elaborato con riferimento al concordato preventivo, può dirsi valevole, secondo la Cassazione, anche per la valutazione svolta ai fini delle azioni revocatorie di atti eseguiti nell’ambito di piani attestati di risanamento, in quanto lo strumento risponderebbe alla medesima ratio legis. La nuova pronuncia, se da un lato chiarisce che prima delle modifiche del 2012 non era richiesto all’attestatore di eseguire la veridicità dei dati aziendali, per altro verso complica le cose, perché richiamando il principio della par conditio creditorum anche per i piani di risanamento obbligherà le parti interessate prima di procedere al componimento della crisi e utilizzo del piano stragiudiziale attestato a valutare se gli atti esecutivi del piano siano effettivamente volti a superare la crisi e quindi posti in essere nell’interesse dell’intero ceto creditorio. Certo che andrà sempre soddisfatto secondo un criterio di «minimale soddisfazione dei creditori chirografari e in tempi ragionevoli», salvo un accordo con i singoli creditori. Marcello Pollio