ITALIA OGGI SETTE
CASSAZIONE/1 Sentenza sul calcolo dell’anno
Falliti, vale la data d’uscita dal registro
Il termine di un anno, entro il quale l’imprenditore che abbia cessato la sua attività può essere dichiarato fallito decorre dalla cancellazione dal registro delle imprese, con ciò escludendo ogni altra possibilità in assoluto.
Lo ha affermato la Corte di cassazione con la sentenza n. 17360 del 26 agosto 2016 che ha analizzato l’articolo 10 della legge fallimentare, modificata dal decreto legislativo n. 5 del 2006 e dal decreto legislativo n. 169 del 2007.
Per cui, sulla base del principio fissato dalla Suprema corte, all’imprenditore non viene concessa nessuna altra possibilità per potere dimostrare il momento che precede l’effettiva cessazione dell’attività. Viene a tal fine osservato, che soltanto con l’avvenuta iscrizione nel registro delle imprese la cessazione dell’attività viene formalmente portata a conoscenza dei terzi, tranne che i creditori e i pubblici ministeri riescano a dimostrare che l’attività sia poi di fatto proseguita. Nel caso di specie, l’imprenditore, dopo che i propri dipendenti e altro creditore avevano presentato istanza di fallimento nei suoi confronti (prontamente dichiarata dal Tribunale), aveva presentato reclamo avanti la Corte di appello e si era difeso sostenendo di avere cessato l’attività d’impresa già dal mese settembre 2010, ancorché in tale periodo non fosse ancora avvenuta la cancellazione dal registro delle imprese, e che, comunque, i creditori istanti ne erano venuti a conoscenza in tempo debito.
Dal canto suo, il giudice di merito ha respinto tale tesi sostenendo, invece, che la cessazione dell’attività d’impresa così come proposta dal fallito non è di fatto accettabile poiché allo stesso la norma vigente non consente «una cessazione di fatto dell’attività in contrasto con le risultanze del registro». Dunque, la cancellazione viene resa conoscibile e formalmente opponibile ai terzi soltanto mediante la cancellazione della società dal registro delle imprese: la legge fallimentare non concede al debitore altro modo per potere dimostrare il contrario. La decisione d’appello è poi stata confermata dalla Cassazione. Vincenzo D’Andò