IL SOLE 24 ORE
Cassazione/1. Va calcolata la differenza tra il valore delle azioni ottenute e quello congruo
Fusioni con concambio errato: al socio spetta il risarcimento
Se in un’operazione di fusione il rapporto di cambio si riveli incongruo, perché non sia veritiera (per sottovalutazione) la situazione patrimoniale di una delle società che partecipano all’operazione, spetta il risarcimento del danno al socio che subisca il concambio sfavorevole. Il risarcimento è pari al valore delle azioni ottenute in concambio rispetto al valore delle azioni che il socio avrebbe ottenuto se il concambio fosse stato congruo. È quanto deciso dalla Cassazione nella sentenza n. 15025 del 21 luglio 2016.
Rilevando che del rapporto di cambio la legge richiede la «congruità», la Cassazione argomenta che il legislatore non pretende l’assoluta esattezza matematica del concambio; in sostanza, secondo la Suprema Corte, non esiste un unico rapporto di cambio, ma una pluralità di opzioni all’interno di una ragionevole «banda di oscillazione», cosicchè il rapporto di cambio si rende incongruo solo nelle ipotesi in cui la scelta dell’organo amministrativo cada su un valore esterno alla accettabile banda di oscillazione della valutazione delle società partecipanti all’operazione di fusione, con la conseguenza di provocare, in tal modo, un danno per i soci.
Si pone dunque il tema del risarcimento del danno, in quanto, per scelta del legislatore, quando l’atto di fusione è iscritto nel Registro imprese non si può più far luogo a una sua impugnazione, ma occorre trasferire sul piano risarcitorio le pretese di chi lamenti che nel procedimento di fusione sono stati tenuti comportamenti illegittimi. A iscrizione avvenuta, infatti, la legge intende mantenere l’assetto organizzativo risultante dalla fusione e sostituisce ogni azione tendente a invalidare la fusione con il contrappeso della tutela risarcitoria “per equivalente”.
Nel caso del rapporto di cambio incongruo (nella fattispecie, per sottovalutazione del patrimonio della società incorporata), si deve aver riguardo al minor valore della partecipazione ottenuta nella società incorporante dal socio della società incorporata. Si deve raffrontare – secondo la Cassazione – non la posizione del socio a seguito della fusione rispetto a quella che egli avrebbe avuto qualora la fusione non fosse avvenuta, ma la situazione conseguente all’applicazione del rapporto di cambio incongruo e quella corrispondente al rapporto stesso quando siano accertati gli errori tecnici che hanno condotto a detta incongruità. In sostanza, va risarcito l’interesse del socio a non subire il pregiudizio che egli avrebbe evitato qualora il concambio fosse stato determinato entro il range di congruità.Il corretto criterio di liquidazione richiede che il socio consegua una somma il più possibile uguale alla differenza tra il valore della partecipazione al medesimo assegnata sulla base del concambio incongruo e il valore della partecipazione stessa ove tale elemento fosse stato correttamente determinato: cosi da porre, appunto, il socio nella condizione equivalente a quella che egli avrebbe avuto se la fusione fosse stata legittimamente eseguita.
Angelo Busani