CASSAZIONE: Ignorare le risposte del giudice d’appello costa ventimila euro (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Civile. Per abuso del processo
Ignorare le risposte del giudice d’appello costa ventimila euro

Roma. Paga ventimila euro alla controparte per abuso del processo chi insiste in un ricorso palesemente infondato, ignorando le risposte del giudice d’appello. Secondo la Corte di cassazione (sentenza 19285 depositata ieri) per aumentare l’effetto deterrente, alla sanzione da corrispondere alla parte vittoriosa il cliente potrebbe unire, previo un accertamento su chi ha fatto le scelte abusive, un’azione di responsabilità nei confronti del difensore.
Per la Suprema corte nel caso in cui la responsabilità sussista e l’assistito decida di farla valere nei confronti del suo avvocato, verrebbe a configurarsi un logico completamento «del presidio posto dal legislatore a una corretta utilizzazione dello strumento processuale. Per i giudici della terza sezione civile così facendo si metterebbe in atto una specie di sanzione per via indiretta a carico della parte tecnica su iniziativa del cliente. Così facendo si raggiungerebbe un pieno effetto deflattivo/preventivo a tutela dell’adeguato funzionamento del sistema giurisdizionale.
Per la Cassazione l’azione verso il legale è in linea con lo scopo dell’articolo 96 terzo comma del Codice di procedura civile, che affida all’iniziativa privata la riscossione delle somme dovute dall’avversario alla parte vittoriosa. La stessa Corte costituzionale (sentenza 152 del 2016) ha giudicato infondata la questione di illegittimità relativa alla previsione di destinare la sanzione alla controparte anzichè allo Stato per l’offesa recata alla giurisdizione. Una previsione che non è in contraddizione con la natura pubblicistica dell’istituto, ma anzi rafforza l’effetto deterrente dello strumento deflattivo perché il privato può recuperare le somme dovute in virtù della condanna, con tempi più rapidi e con minori oneri a carico dello Stato.
La Cassazione non lascia scampo al legale con un’altra sentenza (19272) depositata ieri. Nel bocciare la tesi, considerata “surreale”, esposta in un ricorso “incomprensibile”, la Suprema corte sottolinea che il ricorrente – e per lui il suo difensore per il quale risponde – o conosceva l’insostenibilità dei motivi e malgrado questo li ha proposti, facendo scattare l’abuso del processo, oppure non ne era al corrente e dunque ha tenuto una condotta gravemente colposa. Nell’ultima ipotesi mancherebbe, infatti, la giusta diligenza richiesta a chi è chiamato ad adempiere una prestazione professionale altamente qualificata, come quella dell’avvocato in generale e del cassazionista in particolare. In questo caso la sanzione, parametrata alle spese dovute alla parte vittoriosa, è decisamente più contenuta: solo 3 mila euro. Patrizia Maciocchi

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