IL SOLE 24 ORE
Sezioni Unite/1. Il giudice di merito deve attenersi ai criteri fattuali
Il trasloco apparente non salva dal fallimento
La giurisdizione rimane in Italia anche dopo il trasferimento
Milano. Il trasferimento all’estero della sede non salva l’impresa dalla procedura concorsuale, anche se il trasloco è avvenuto prima dell’istanza di fallimento. La giurisdizione resta quindi in capo al giudice italiano, sempre che non si tratti di un effettivo espatrio dell’attività, della direzione e del controllo della società stessa.
Le Sezioni unite civili della Cassazione con la sentenza 5419/16, depositata ieri, danno continuità alla giurisprudenza europea sui criteri per fissare la giurisdizione nei casi cross-border. Intervenendo sul ricorso innescato da un’azienda di Parma, ritualmente notificata peraltro anche nella nuova sede romena, la Corte invita ad andare oltre il criterio formale nelle ipotesi in cui vi sia motivo di ritenere apparente l’espatrio. L’impresa in questione, tra l’altro, aveva subito l’istanza concorsuale davanti al tribunale emiliano per iniziativa di un fallimento – esposto per oltre un milione di euro – e di altri creditori che avevano già iniziato azioni esecutive. Situazione che aveva indotto i giudici di merito dei due gradi a ritenere il presunto trasloco, in realtà, una meno prosaica iniziativa per sottrarsi alla giurisdizione italiana. Il ricorrente tuttavia aveva eccepito la regolarità della notifica all’estero, lo stato di insolvenza statuito dal tribunale e, soprattutto, la giurisdizione d’origine. Su questo punto le Sezioni Unite sono state trancianti. La Corte di giustizia, in primo luogo, ha stabilito che «la sede effettiva della società si individua privilegiando il luogo dell’amministrazione principale, come determinabile sulla base di elementi oggettivi e riconoscibili da terzi». E per arrivare a tale determinazione, è necessaria «una valutazione globale di tutti gli elementi rilevanti» (Cge, 191/10 depositata il 15/12/11) , da leggere con l’avvertimento che la situazione apparente può consistere nella circostanza che «la società non svolge alcuna attività sul territorio dello Stato membro in cui è formalmente collocata la sede» (Cge, 341/04).
Nel caso specifico, argomenta il relatore, sono decisive le circostanze della «accertata non operatività della sede in Romania», che si desume anche dalla mancata apertura di un conto corrente locale, e la residenza in Italia dell’amministratore. Inoltre, rimarca la sentenza, anche prima del (simulato) trasloco erano già state notificate azioni esecutive nel confronti della società parmigiana. Tutti elementi, questi, che permettono di superare la presunzione di corrispondenza tra la sede dichiarata e il centro effettivo di interessi. Quanto alle contestazioni sul credito che aveva originato la dichiarazione di insolvenza, la Corte ricorda che ai fini della dichiarazione di fallimento «non è necessario un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale» e neppure l’esecutività del titolo, mentre basta l’accertamento incidentale del giudice che procede. Alessandro Galimberti