CASSAZIONE: Iva senza uscita (Italia Oggi)

ITALIA OGGI

La Cassazione torna sull’evasione dell’imposta

Iva senza uscita

Difficoltà non assolvono azienda

 

L’imprenditore che non paga l’Iva perché l’azienda versa in difficoltà economiche dettate dall’acquisto di materie prime, per far crescere la società, incorre comunque nella responsabilità penale.

Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 33021 del 28 luglio 2015, ha reso definitiva la condanna a carico di un imprenditore di Ancona che si era indebitato con l’Erario a causa della scarsa liquidità.

In particolare, l’uomo aveva svuotato le casse dell’azienda nel tentativo di farla crescere, comprando materie prime.

Ma questa, per la Suprema corte, non è affatto una scriminante.

Infatti, ad avviso del Collegio di legittimità, il contribuente che invochi l’assoluta impossibilità a adempiere deve fornire la prova della crisi di liquidità della sua azienda, della non imputabilità dello stato di crisi ai suoi comportamenti e che detta situazione di crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile tramite il ricorso a comportamenti diversi.

In questo caso, ricorda Piazza Cavour, l’imprenditore ha contribuito a creare lo stato di decozione, ricorrendo a scelte contestabili, col preferire di utilizzare la liquidità disponibile per procurarsi materie prime, continuare le lavorazioni e pagare i dipendenti, versando i contributi previdenziali e assicurativi: ad avviso del giudice di merito, giustamente aggiunge la terza sezione penale, tale condotta, quand’anche provata e giustificata da finalità di impresa, realizza il presupposto dell’inadempimento consapevole all’obbligo di corresponsione in favore dell’Erario. Debora Alberici

 

 

 

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