CASSAZIONE: La perdita di chance va provata (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Cassazione/1. Liquidazione equitativa per l’impresa tagliata fuori dalle gare per colpa grave della Pa
La perdita di chance va provata

Roma. Il giudice non può condannare la pubblica amministrazione a risarcire la perdita di chance all’impresa che perde l’occasione di partecipare alle gare, non avendo ottenuto il “bollino blu”, basandosi sulla durata del comportamento illegittimo della Pa e sul tipo di azienda. Per quantificare il danno occorre valutare, in base agli elementi forniti dal danneggiato, le possibilità concrete che l’azienda avrebbe avuto di conseguire vantaggi economici senza il comportamento “illecito”. La Corte di cassazione (sentenza 24295) accoglie il ricorso del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti – la cui tesi difensiva era stata bocciata nei due gradi precedenti – limitatamente alla liquidazione del danno. I titolari dell’impresa avevano citato in giudizio il ministero che aveva negato l’iscrizione all’albo dei costruttori, all’epoca dei fatti non ancora sostituito dalle Soa. Un parere negativo che non era stato rimosso malgrado due sentenze del Tar, con le quali i giudici amministrativi avevano affermato la colpa grave della Pa per non aver eseguito il giudicato. Il tribunale aveva fissato il risarcimento in 10 miliardi di lire, mentre nella sentenza di appello, arrivata circa 10 anni dopo, il danno era stato quantificato in 750 mila euro. Secondo la Corte di territoriale era impossibile stabilire quali sarebbero stati gli effetti della partecipazione dell’impresa a gare alle quali non aveva potuto accedere, ma un danno c’era comunque stato. La mancata partecipazione aveva ridotto le occasioni per conseguire dei ricavi «e quindi le perdite di chances, suscettibili di valutazione economica sia pure equitativa». Per la corte d’Appello la cifra indicata del tribunale era eccessiva in considerazione dell’incertezza e della mancanza di parametri di valutazione ben definiti, come inappropriato era il riferimento ai dati statistici forniti dal Ctu, utili per uno studio teorico ma non idonei a fornire elementi sicuri. La corte d’Appello aveva ritenuto “prudente” stabilire un danno di 750 mila euro, compresa la rivalutazione degli interessi tenuto conto della durata temporale dell’inadempimento e del tipo di impresa. Il ministero fa un ricorso accolto sul punto dalla Cassazione. La Suprema corte conferma la colpa grave della Pa che aveva disatteso la sentenza del Tar, malgrado questo avesse spiegato con successivo verdetto che l’amministrazione non godeva di nessuna discrezionalità nel disattendere il giudicato. Affermata la responsabilità ai fini risarcitori la Cassazione boccia il criterio con il quale la Corte d’Appello aveva riconosciuto la perdita di chance per un danno non attuale.
Per il “pregiudizio” è necessario ricorrere al criterio prognostico, basato su concrete e ragionevoli, non ipotetiche, possibilità di risultati utili. Il danno patrimoniale per la mancata chance è un danno futuro, che non consiste nella perdita di un vantaggio economico ma della sola possibilità di conseguirlo «secondo una valutazione “ex ante” da ricondursi, diacronicamente, al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilità in termini di conseguenza dannosa potenziale. L’accertamento e la liquidazione, in via equitativa, spettano al giudice di merito e sono insindacabili in sede di legittimità se adeguatamente motivati. In questo caso però la motivazione non indica il processo logico seguito. Il riferimento al tempo del comportamento illecito e al tipo di impresa è inadeguato. La valutazione deve basarsi su elementi di fatto forniti dall’impresa, chiarendo quali erano le probabilità concrete di vantaggi economici prima dell’illecito». Patrizia Maciocchi

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