CASSAZIONE: L’aspirante avvocato non raccoglie prove (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Cassazione/2. Il praticante di studio delegato dal titolare non può fare indagini difensive da produrre davanti al Tribunale collegiale
L’aspirante avvocato non raccoglie prove

Roma. Le indagini difensive del praticante avvocato, abilitato alle sole cause di competenza del giudice di pace o del Tribunale monocratico, non possono essere utilizzate davanti a un Tribunale collegiale. Questo anche se il tirocinante ha ricevuto la delega dal suo dominus regolarmente abilitato. La Corte di cassazione, con la sentenza 25431, annulla la decisione con la quale la Corte d’Appello aveva considerato accertata la responsabilità dell’imputato, relativamente a reati di violenza sessuale, sulla base delle testimonianze delle vittime e delle indagini difensive, queste ultime considerate valide anche se svolte da un tirocinante non ancora abilitato all’esercizio della professione di avvocato e dunque con un potere di azione circoscritto alle cause che rientravano nella “giurisdizione” del giudice monocratico.
Per la Corte d’Appello un paletto che in realtà non esisteva. Secondo i giudici di merito le indagini difensive, vista la loro natura prodromica ed endoprocessuale, sarebbero state soggette solo in secondo momento al vaglio di un tribunale collegiale: nulla vieterebbe dunque al praticante avvocato di acquisire elementi.
Per la Cassazione però la tesi non è condivisibile.
La Suprema corte ricorda innanzitutto la ratio che ha indotto il legislatore a rivedere il codice di rito, introducendo l’istituto delle investigazioni difensive con la legge 397 del 2000 (articoli da 391-bis a 391-decies).
Un intervento che si giustifica con la necessità di far funzionare il sistema effettivamente accusatorio, permettendo ai difensori delle parti private di ricercare le fonti di prova da sottoporre al giudice.
Non tutti però possono indagare. L’articolo 391-bis individua i soggetti abilitati che in linea generale sono: il difensore, il suo sostituto, gli investigatori privati autorizzati e i consulenti tecnici. Il tutto però con la precisazione che il potere di chiedere alle persone informate sui fatti dichiarazioni scritte o di documentare le informazioni rese, è riservato ai soli difensori titolari dell’incarico e ai loro sostituti.
Nel caso esaminato erano state prodotte proprio le dichiarazioni raccolte dalla difesa della parte civile.
Per la Suprema Corte, posto che la documentazione non è frutto dell’attività del difensore ma del suo sostituto, si tratta di capire se tale qualifica può essere attribuita solo al «professionista abilitato al patrocinio di fronte all’organo giudiziario che procede ovvero anche ad altro soggetto».
La Cassazione precisa che la nozione di sostituto va ricavata dall’articolo 102 del codice di procedura penale, che consente al difensore sia di fiducia sia d’ufficio di nominare un sostituto che esercita i suoi diritti e assume i suoi doveri.
È però evidente che la “nomina” non apre al sostituto strade che prima gli erano precluse né amplia le sue prerogative. Per fare l’investigatore deve dunque possedere la stessa abilitazione professionale del legale che ha ricevuto l’incarico e lo ha delegato a svolgerlo. Patrizia Maciocchi

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