IL SOLE 24 ORE
Separazione. La fine del matrimonio imputabile al coniuge che effettivamente viene meno ai doveri coniugali
L’ autocritica della moglie non vale l’addebito
Mar.26 – Roma. La lettera con la quale la moglie fa autocritica ammettendo degli errori non basta per addebitargli la separazione. La Cassazione (sentenza 8149) respinge il ricorso di un ex marito che aveva portato in tribunale stralci delle missive nelle quali la sua signora faceva il “mea culpa” riconoscendo di essere stata sgarbata e di aver tenuto un comportamento sbagliato.
Per l’uomo si trattava di una vera e preziosa confessione, messa nero su bianco, sufficiente per addossare alla sua ex la fine del matrimonio e chiedere anche il mantenimento in considerazione di una sproporzione dei redditi a suo sfavore. Per la Cassazione però le cose non stanno così. La posta “incriminata”, oltretutto risalente a un periodo di gran lunga precedente la separazione, non dimostrava in alcun modo che la signora fosse venuta meno ai suo doveri coniugali.
Quanto scritto era semmai solo un’autocritica, fatta in un contesto riservato e riferita ad una relazione, quale è quella matrimoniale, in cui «abitualmente il comportamento dei coniugi esprime luci ed ombre». Né l’essersi assunti la responsabilità della separazione significa riconoscere di aver violato gli obblighi assunti con il fatidico sì, al punto tale da aver reso intollerabile la prosecuzione del matrimonio. Allo “sfogo” epistolare si dovrebbe piuttosto attribuire il diverso significato di assunzione della scelta di interrompere il legame coniugale. Un passo con il quale si esercita una libertà fondamentale come quella «di autodeterminarsi nella conduzione della propria vita familiare e personale».
E se all’ex marito va male con la prova di “carta”, non va meglio sul fronte della sproporzione reddituale. L’uomo affermava che, dopo la separazione, il suo tenore di vita era peggiorato. Pronto era scattato il confronto dei giudici tra le due situazioni patrimoniali. La donna era proprietaria di una villa con tenuta agricola, utilizzata per l’agriturismo. Un’attività ormai cessata mentre la villa con terreno era stata donata al figlio che consentiva alla madre di abitarci pagando un canone simbolico. A conti fatti il reddito dichiarato dall’ex moglie superava di poco i mille euro mensili. Più nebulosa la posizione economica dell’ex marito, medico specialista, che, a suo dire, non esercitava più la professione, abbandonata dopo il trasferimento dalla Svizzera e percepiva solo una pensione di 500 euro al mese.
La Corte d’Appello però non crede alla perdita della capacità lavorativa: “contro” il ricorrente c’erano, infatti, delle inserzioni sulle pagine bianche e gialle nelle quali veniva “pubblicizzata” la sua attività di medico specializzato in nefrologia e dietologia.
Per i giudici, ai fini del giudizio, poi è del tutto ininfluente che il figlio dell’ex coppia in lite si fosse comprato un aereo da turismo. Patrizia Maciocchi