IL SOLE 24 ORE
Cassazione. Sentenza sulle regole applicabili per l’omissione del versamento Iva
Le nuove soglie di punibilità fanno l’illecito meno grave
Dopo l’innalzamento della soglia di punibilità per l’o messo versamento Iva, la pena deve essere ridotta in quanto l’illecito consumato risulta meno grave rispetto al passato. Ad affermare il principio è la Corte di cassazione, III sezione penale, con la sentenza 9936 depositata ieri.
Il legale rappresentante di una società veniva condannato dalla Corte di appello alla pena di 6 mesi e 20 giorni di reclusione per il reato di omesso versamento Iva dell’anno 2008 (articolo 10 ter del Dlgs 74/2000).
L’imputato ricorreva per Cassazione rilevando, tra l’altro, che, nelle more del giudizio, era stata innalzata la soglia di punibilità del reato da 50mila a 250mila euro con la conseguenza che la pena risultava ora sproporzionata rispetto alla violazione commessa.
La difesa, poi, sosteneva anche che nell’anno successivo a quello oggetto di contestazione la società aveva un credito Iva e pertanto, attraverso la compensazione, il debito si collocava, in ogni caso, al di sotto della nuova soglia.
La Cassazione, condividendo la tesi difensiva, ha rilevato che la Corte d’appello non aveva rivalutato la pena inflitta alla luce della mutata soglia penale, a opera del Dlgs 158/2015. In altre parole, il collegio avrebbe dovuto riscontrare l’entità dell’imposta evasa rispetto alla nuova soglia di 250mila euro, che, nel caso specifico, era pari a poco più del doppio, con la conseguenza che la sanzione andava congruamente rideterminata.
Il principio affermato dalla Suprema Corte è interessante poiché può essere applicato, in linea generale, a tutti i reati per i quali è stata innalzata la soglia di punibilità (dichiarazione infedele omesso versamento ritenute, eccetera).
L’imputato, inoltre, aveva chiesto l’applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto anche in considerazione del citato innalzamento della soglia. I giudici, al riguardo, richiamando un precedente orientamento giurisprudenziale di legittimità, hanno ricordato che, in tema di omesso versamento Iva, l’istituto è applicabile solo se l’ammontare dell’imposta non versata sia di pochissimo superiore alla soglia penale. Nel caso esaminato, essendo il debito superiore al doppio della nuova soglia, era corretta l’esclusione della citata causa di non punibilità.
Infine è stato chiarito che la sussistenza di un credito Iva maturato nell’anno successivo non può escludere, in ogni caso, la responsabilità penale. Il profitto del reato va identificato, infatti, con l’intero ammontare del tributo non versato e la rilevanza penale deve essere valutata in considerazione della singola annualità d’imposta, a prescindere da eventuali meccanismi compensatori che, nella specie, avrebbero condotto a un’omissione sotto la soglia di punibilità. Secondo la Corte, l’eventuale compensazione del credito esistente nell’esercizio successivo con il debito Iva non può escludere la responsabilità penale. Sebbene nella decisione non sia rilevato, è verosimile che tale conclusione derivi anche dalla circostanza che l’articolo 10 ter del Dlgs 74/2000 prevede la consumazione del reato in presenza di omesso versamento Iva alla scadenza del versamento dell’acconto del periodo di imposta successivo (27/12).
Nel caso specifico, quindi, l’eventuale compensazione del debito con il credito maturato nell’esercizio seguente sarebbe stata possibile solo oltre tale data, a reato già consumato. Il pagamento postumo mediante compensazione (in base alle nuove norme) per far scattare la non punibilità richiedeva un’estinzione totale del debito (prima del dibattimento) e non un abbattimento dell’importo “sotto soglia”. Laura Ambrosi Antonio Iorio