ITALIA OGGI SETTE
Legittimazione processuale provata documentalmente
Lun.14 – Il successore è tenuto a provare documentalmente la legittimazione processuale.
Lo hanno affermato i giudici della prima sezione civile della Corte di cassazione con la sentenza n. 4124 dello scorso 2 marzo. La Corte d’appello riformava una sentenza del Tribunale che aveva accolto la domanda proposta dalla Banca, dichiarando l’invalidità della costituzione effettuata nell’interesse di una spa (già banca), di cui ha dichiarato la contumacia e l’improponibilità della domanda giudiziale fatta valere nei confronti dei correntisti Tizio e Caio, per le loro debenze, a chiusura del rapporto di conto corrente.
Secondo il giudice distrettuale, a causa della mancata ottemperanza dell’ordine di deposito dei documenti dimostrativi del conferimento della procura ad agire in giudizio, conferita dalla spa, e in particolare della procura generale per atto del notaio, doveva ritenersi inesistente uno specifico mandato, secondo le regole della rappresentanza volontaria e dei principi in materia di legittimatio ad processum del rappresentante. Infatti, quello depositato doveva intendersi come la stampa di un documento informatico, privo delle sottoscrizioni e, perciò, una mera copia informe.
Nella sentenza in commento si osservava, inoltre, come le delibere prodotte non sarebbero state sufficienti a dimostrare la legittimatio ad processum delle persone munite di firma di rappresentanza, senza alcuna espressa attribuzione né della rappresentanza processuale né della rappresentanza sostanziale rispetto ad eventuali rapporti processuali.
La Corte di cassazione, già ha avuto modo di stabilire il principio di diritto secondo cui «la società che propone ricorso per Cassazione avverso la sentenza di appello emessa nei confronti di un’altra società, della quale affermi di essere successore (a titolo universale o particolare), è tenuta a fornire la prova documentale della propria legittimazione, nelle forme previste dall’art. 372 cod. proc. civ., a meno che il resistente non l’abbia – nel controricorso, e non successivamente, nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ. – esplicitamente o implicitamente riconosciuta, astenendosi dal sollevare qualsiasi eccezione in proposito e difendendosi nel merito dell’impugnazione». (sez. U, Sentenza n. 11650 del 2006; cfr. anche Cass. sez. 2, sentenza n. 16194 del 2005).
Pertanto, secondo i giudici di piazza Cavour, nel caso in cui il soggetto costituito in giudizio sia diverso dall’effettivo titolare del diritto, e non risulti a lui espressamente conferita la rappresentanza processuale ai sensi dell’art. 77 c.p.c. il giudice avrà l’obbligo di rilevarne il difetto in ogni stato e grado del giudizio. Angelo Costa