IL SOLE 24 ORE
Diritti umani. Equiparato agli arredi
Lo spazio minimo della cella si calcola senza contare il letto
Milano. Lo spazio minimo individuale da garantire ai detenuti va calcolato al netto delle strutture fisse della cella, letto compreso. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Prima penale, nella sentenza 52819 depositata ieri, che riproponeva l’annosa questione delle condizioni delle persone detenute in relazione ai parametri Cpt (prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti).
Il caso era stato sollevato da un cinquantenne italiano ospite del carcere di Spoleto, che era ricorso dapprima al magistrato di sorveglianza e poi al tribunale di Perugia per ottenere un’inibitoria (e inizialmente anche una decisione risarcitoria) sulla violazione del suo diritto a vivere in condizioni adeguate, dal punto di vista costituzionale e delle normative europee, la sua reclusione. Il giudice di secondo grado aveva alla fine stabilito che, metro alla mano, lo spazio minimo del detenuto va calcolato al netto delle strutture fisse (per esempio armadi, mensole e pensili sotto l’altezza uomo) ma al lordo del letto. Secondo questa prospettazione, infatti, il letto è «superficie d’appoggio» destinata all’attività sedentaria, che è quella caratteristica durante le ore trascorse nel locale di detenzione, considerato che gran parte del tempo viene impiegato piuttosto negli spazi collettivi del carcere.
Il detenuto ha impugnato in Cassazione proprio questa sottile distinzione tra arredi, lamentando in sostanza che tutto lo spazio sottratto al libero movimento degli occupanti della cella dovrebbe essere considerato senza distinzione come sottratto agli standard minimi di superficie della cella. Posizione, questa, che la Prima penale ha condiviso facendola propria, anche sulla base dei numerosi precedenti della Corte europea, dal caso Goodwin/Regno Unito(28957/95) a quello Scoppola/Italia (10249/03) fino a Sabri Gunes/Turchia (27396/06). In tutte quelle decisioni l’esigenza dei tre metri quadrati per detenuto nelle celle collettive resta «la norma minima pertinente al fine di apprezzare le condizioni delle detenzione sotto l’aspetto dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo». Tuttavia, aggiunge la Cassazione, i parametri Cpt svolgono una funzione preventiva a monte, mentre il giudice deve apprezzare se nel caso specifico esistano fatti costitutivi di pene o trattamenti inumani o degradanti. E se l’insegnamento della Grande Camera della Cedu spiega che nel calcolo della superficie disponibile deve essere incluso quello occupato dai mobili, determinante è «se i detenuti hanno la possibilità di muoversi normalmente nella cella». Proprio in applicazione di questo criterio, la Cassazione esclude oggi dal computo le strutture tendenzialmente fisse – tra cui il letto – «mentre non rilevano arredi facilmente amovibili».
Fortemente critici i Radicali sulla sentenza di ieri. «Decisione ovviamente positiva, ma ci chiediamo se è possibile che invece di parlare di lavoro in carcere, risocializzazione, affettività, e magari di abolizione delle pene detentive brevi, siamo ancora ridotti a dibattere “metro alla mano”». Alessandro Galimberti