CASSAZIONE: Ma la Cassazione ammette attività non remunerate (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

La difesa. Le strade possibili
Ma la Cassazione ammette attività non remunerate

Il professionista che ha ricevuto l’atto di accertamento, in prima battuta, può tentare la strada dell’accertamento con adesione al fine di evitare il contenzioso. In tal caso, è opportuno presentare una memoria con cui vengano, da un lato, illustrate e provate, anche mediante l’allegazione di documenti, la correttezza e la regolarità delle scritture contabili e, dall’altro, contestati nel merito i rilievi dell’Ufficio giustificando la gratuità della prestazione.
È ragionevole, infatti, ritenere che nell’ambito dello svolgimento dell’attività professionale, il professionista possa prestare anche servizi che non saranno oggetto di alcuna remunerazione – e, dunque, di alcuna fatturazione- , quali la compilazione e la trasmissione delle dichiarazioni dei redditi, nei confronti di propri familiari e/o amici o anche a clienti, per un eventuale ritorno economico indiretto.
Inoltre, occorrerà far rilevare che Cassazione, con diverse pronunce, ha stabilito che non sono contestabili da parte dell’amministrazione finanziaria le prestazioni rese dai commercialisti a titolo gratuito a favore di parenti, amici, soci di società già clienti a pagamento dello studio e di altre persone in grado di incrementare la clientela (Cassazione, sentenza 21972/2015) e che, in ogni caso l’onerosità della prestazione professionale non è essenziale (Corte Cassazione, sentenza 16966/2005).
Qualora poi non si dovesse raggiungere alcun “accordo”, occorrerà impugnare l’atto di accertamento mediante la procedura del reclamo/mediazione, se le maggiori imposte al netto delle sanzioni e interessi, non superino l’importo complessivo di 20mila euro, o mediante il ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale.
In particolare, in sede contenziosa, oltre a ribadire nel merito quanto già fatto rilevare all’Ufficio in sede di adesione, sarà opportuno invocare l’illegittimità dell’atto per violazione delle regole probatorie e l’eventuale totale assenza di contraddittorio. Occorrerà, infatti, evidenziare come la dichiarazione dei redditi e la contabilità non solo non rilevano alcuna irregolarità formale né alcun comportamento in contrasto con le norme tributarie, ma espongono ricavi/compensi perfettamente in linea, e dunque congrui e coerenti, con quelli stimabili sulla base dello studio di settore applicabile proprio all’attività svolta dal contribuente accertato.
Infine, per prevenire e scongiurare eventuali accertamenti basati sulla gratuità delle prestazioni rese, potrebbe essere opportuno predisporre, nei casi in cui i beneficiari delle prestazioni gratuite non sono legati da rapporti di parentela con il professionista (ove in tal caso la non remunerazione è evidente), delle lettere di incarico professionale, da trasmettere per posta o tramite pec, in cui si evidenzino, prima della effettuazione prestazione, le motivazioni per le quali non sarà previsto alcun corrispettivo. Allo stesso fine, invece, non sembra auspicabile prevedere un compenso simbolico, di entità modesta, e dunque fuori mercato in quanto vige il principio dell’inderogabilità delle tariffe minime professionali, secondo anche quanto statuito dalla giurisprudenza di legittimità (Corte Cassazione, sentenza n. 20269/2010).

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