IL SOLE 24 ORE
Rimborsi. Sarebbe in contrasto con il rapporto fiduciario
Nessun obbligo di controllo continuo
Il datore di lavoro non ha l’obbligo di controllare continuamente i dipendenti. Questo il principio espresso dalla Corte di cassazione nella sentenza 10069/2016 con cui è tornata a pronunciarsi in merito al requisito della tempestività della contestazione disciplinare.
Nel caso specifico, un dipendente è stato licenziato per aver richiesto alla società rimborsi di carburante in misura quasi doppia rispetto alle esigenze lavorative. Non appena accertata la violazione, la società ha avviato un procedimento disciplinare che si è concluso con il licenziamento. Il recesso, impugnato in sede giudiziale dal dipendente, è stato dichiarato illegittimo in primo e in secondo grado.
In particolare, la Corte d’appello ha dichiarato illegittimo il licenziamento sotto due profili: in primo luogo, la sanzione espulsiva è stata giudicata sproporzionata in relazione alla «modesta intensità del dolo» e, in secondo luogo, la contestazione disciplinare è stata valutata tardiva rispetto al momento in cui la società avrebbe potuto accorgersi della richiesta di indebiti rimborsi da parte del dipendente.
Per quanto attiene al primo profilo, la Corte di legittimità ha censurato l’iter argomentativo della Corte territoriale poiché fondato su una mera congettura: la Corte d’appello, infatti, nonostante l’accertata falsità del dato quantitativo del consumo di carburante, ha supposto che l’indebito rimborso fosse stato chiesto dal dipendente «quasi a titolo di benefit» pur in assenza di un’esplicita pattuizione in tal senso. La Suprema corte ha osservato che «l’uso di mere congetture – a differenza di presunzioni semplici di cui all’articolo 2729 del Codice civile – non è consentito», con la conseguenza che non si può affermare che in base a quanto accade di solito «i lavoratori dipendenti chiedano rimborsi nella speranza che il datore di lavoro glieli conceda pur sapendoli indebiti».
Quanto poi alla dichiarata tardività della contestazione disciplinare, fondata sull’assunto che sarebbe stato agevole per la società scoprire l’illecito e porvi immediatamente rimedio, la Corte di legittimità ha correttamente evidenziato come non sussista nel nostro ordinamento alcuna norma di legge o di contratto che attribuisca al datore di lavoro l’obbligo «di controllare in modo continuo ed assiduo i propri dipendenti contestando loro immediatamente qualsiasi infrazione al fine di evitarne un possibile aggravamento».
Un tale controllo, ha proseguito la Corte, contrasterebbe con il carattere fiduciario del rapporto di lavoro, che implica che il datore di lavoro possa fare affidamento sulla correttezza dei propri dipendenti, anche in assenza di costanti verifiche.
A ben vedere, inoltre, una tale forma di controllo non solo negherebbe in radice il vincolo di fiducia connaturato al rapporto di lavoro, ma potrebbe financo rivelarsi lesiva della salute e dignità dei dipendenti: è stato infatti più volte affermato dalla giurisprudenza di merito che «costituisce mobbing la sottoposizione di una lavoratrice per vari mesi a controlli esasperati della sua attività di lavoro, a una serie di contestazioni e sanzioni disciplinari conseguenti a episodi di inesistente o scarsissima rilevanza disciplinare» (tribunale di Milano, 28 febbraio 2003).
Sulla scorta dei principi di diritto sopra esposti, la Corte di legittimità ha cassato la sentenza impugnata, rinviando gli atti alla Corte d’appello.
Angelo Zambelli