IL SOLE 24 ORE
Cassazione. Riproducibile con una piccola differenza se il termine fa riferimento alla caratteristica del prodotto
Per il marchio debole basta una variante
Roma. È riproducibile, con una piccola variante, la parte del marchio complesso che fa riferimento ad una caratteristica del prodotto. La Corte di cassazione, con la sentenza 10078 depositata ieri, respinge il ricorso di una casa produttrice di biancheria intima contro un’altra azienda, attiva nello stesso campo, accusata di contraffazione e di concorrenza sleale per avere unito al nome della ditta la parola “mimetic”, utilizzata dalla ricorrente nella versione “mimesis”, per la commercializzazione di reggiseni.
La ricorrente rivendicava il diritto all’uso esclusivo del termine, considerandolo un marchio forte. Di avviso diverso la Corte d’appello che, con una sentenza giudicata corretta dalla Cassazione, aveva escluso la tutela: la parola «mimesis» era semplicemente descrittiva e serviva ad evocare le caratteristiche di un prodotto, aderente alla pelle e invisibile sotto gli abiti. I giudici hanno qualificato dunque il marchio come debole riguardo alla parola inserita accanto al nome del produttore.
Con la conseguenza che ne è impedita solo la pedissequa riproduzione, mentre basta una piccola modifica, come avvenuto nel caso esaminato, per escludere la violazione. La corte di merito precisa che l’uso dell’elemento espressivo (la mimesi), che ne costituisce il nucleo, deve restare a disposizione di tutti e nessuno può appropriarsene per monopolizzarlo.
I giudici di seconda istanza hanno pertanto negato che si possa parlare di concorrenza sleale, perchè nei due marchi era evidente la prevalenza del nome del produttore. I capi potevano facilmente essere ricondotti a distinte realtà imprenditoriali senza alcun rischio di incorrere, da parte del consumatore, nel cosiddetto effetto “look-alike” tipico delle imitazioni.
Per la Cassazione il ragionamento della Corte d’appello è corretto. Nei due marchi complessi il carattere distintivo del segno sta nel nome delle aziende, che ha natura di marchio forte perché di pura fantasia e privo di qualunque collegamento con il prodotto venduto.
Mentre i termini, motivo del contendere, sono stati giustamente considerati deboli e come tali possono essere usati anche da altri con differenziazioni anche non rilevanti. La Suprema corte ricorda che il marchio debole è concettualmente legato all’oggetto: la fantasia di chi lo ha creato non è andata, infatti, oltre una sua semplice descrizione.
La Suprema corte precisa che anche un marchio debole può essere degno di tutela, ma solo a condizione che abbia un grado di capacità distintiva, seppur limitato. Diverso il discorso per il marchio forte che possiede maggiori elementi di distinzione e gode della massima protezione. La contraffazione, in tal caso, scatta appena si ripete in qualunque modo «la sua tipica ed individualizzante capacità distintiva ed il suo caratteristico messaggio». Patrizia Maciocchi