IL SOLE 24 ORE
Reati contro la Pa. La Cassazione smonta il processo «Castello», cantiere da un miliardo di euro a Firenze
Per la corruzione non basta il denaro
Milano. Non basta la dazione di denaro dal privato al pubblico ufficiale per provare il reato di corruzione propria: il passaggio di soldi è solo un indizio, da solo non sufficiente a reggere una condanna per i protagonisti se non corredato dalla finalizzazione – dimostrata – dell’erogazione verso un comportamento – passato o futuro – contrario ai doveri di ufficio.
Con una corposissima motivazione la Sesta penale della Corte di cassazione (sentenza 39008, depositata ieri) smonta gran parte del processo sull’operazione “Castello” di Firenze, un intervento urbanistico del valore stimato di un miliardo di euro che aveva coinvolto, tra gli altri, un assessore della giunta comunale fiorentina. L’operazione edilizia prevedeva, alla fine del decennio scorso, la realizzazione di un grande insediamento residenziale e, contestuale, la nuova sede della provincia. Operazione che, secondo la prospettiva accusatoria, aveva previsto anche l’incarico professionale ad architetti vicini all’assessore, incarichi non necessari vista l’organizzazione dell’impresa committente (gruppo Ligresti).
A giudizio della Sesta le due corti di merito hanno applicato scorrettamente i principi sulla prova indiziaria (articolo 192 del Codice di procedura: «L’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti»). L’accordo presunto criminoso tra l’assessore fiorentino, gli architetti beneficiari dell’incarico e il patron del gruppo Ligresti – che avrebbe beneficiato, tra l’altro, dell’acquisto da parte della Provincia del nuovo insediamento per uffici – scrive la Corte, è dimostrato nella sentenza solo dal trasferimento di denaro, in particolare dall’incarico professionale ricevuto dai due architetti vicini all’assessore. Ma proprio l’assessore, aggiunge la Corte, non risulta in atti aver ricevuto alcuna utilità diretta, tale da giustificare una remunerazione per atti contrari a doveri d’ufficio, atti che, inoltre risulterebbero di molto precedenti rispetto al primo preliminare sull’operazione edilizia (l’assessore era sospettato di aver ostacolato la ricerca di siti alternativi per i muovi uffici della Provincia, favorendo in tal modo il gruppo Ligresti).
Da qui il principio, peraltro ripescato dalla sentenza di merito, secondo cui «non vi è dubbio che un assessore all’urbanistica che suggerisse al privato il nome di un professionista cui rivolgersi per la progettazione di un immobile, in relazione al quale non siano ancora stati rilasciati i premessi di costruzione, non commetterebbe per ciò solo alcun reato, al di là dei profili deontologici, che non interessano in questa sede processuale». Questa considerazione mette in dubbio, chiosa la Sesta, la stessa tenuta del nesso tra presunto corrotto e corruttore, poiché «la sentenza è priva di qualunque indicazione in ordine all’asserito rapporto di corrispettività tra l’incarico di redazione del masterplan (…) e l’attività di ufficio» dell’assessore indagato.
Alessandro Galimberti