IL SOLE 24 ORE
Più discrezionalità per gli operatori
MILANO. La sentenza della Quinta penale della Corte di cassazione sul caso Crespi (33774/15, si veda l’articolo sopra) dà una prima interpretazione al buco normativo creato dalla riforma sul falso in bilancio – non a caso il dispositivo venne letto 48 ore dopo l’entrata in vigore della legge 69/15. Una “lettura” importante, questa, perchè nella lunghissima motivazione, oltre a un inquadramento sistematico degli effetti della successione della legge incriminatrice (articolo 2 del Codice penale), la Corte stila una sorta di decalogo sulla classificazione di fattispecie ricorrenti -di cui peraltro la monumentale inchiesta «Crespi» è ricca.
Quanto al discrimine tra «fatti materiali» e «procedimenti valutativi» – con i secondi ormai fuori dal testo del l’articolo 2622 del Codice civile – la Quinta sottolinea che «la maggior parte delle poste in bilancio altro non è se non l’esito di procedimenti valutativi e, quindi, non può essere in alcun modo ricondotta all’alveo dei soli fatti materiali» unici perseguibili oggi. Se è vero che «la valutazione di qualcosa di inesistente» o «l’attribuzione di un valore ad una realtà insussistente non può che ritenersi un fatto materiale non rispondente al vero», fuori da queste ipotesi di scuola il confine tra penalmente perseguibile e non, si fa via via più sfumato. I ricavi “gonfiati”, i costi «sostenuti ma sottaciuti», le false dichiarazioni circa conti bancari, i rapporti di reciproca convenienza originati da fatture per operazioni inesistenti sono tutte ipotesi di falsità circa fatti materiali. Allo stesso modo devono essere considerati ancora oggi punibili «condotte scaturenti da fatti storici», come i crediti definitivamente inesigibili per fallimento del debitore lasciati tra gli attivi di bilancio o l’omessa indicazione di transazioni su beni. O, ancora, la mancata svalutazione a bilancio di una partecipazione dopo il fallimento di una controllata, e infine l’omessa indicazione di un debito derivante da un contenzioso in cui si è rimasti soccombenti.
Lo scenario “di continuità” con la vecchia norma incriminatrice – che peraltro la Corte dimostra di voler avvicinare quanto più possibile – finisce però qui. Tornando ad analizzare i capi di imputazione contro Luigi Crespi, la Quinta rimarca che ogni volta che ci si imbatte in poste di bilancio «frutto di valutazioni non palesemente erronee, ovvero in relazione alle quali non è chiaramente emerso che siano state iscritte per finalità meramente ingannatorie e comunque programmaticamente inosservanti dei criteri valutativi» siamo fuori dal raggio dell’incriminazione penale.Per esempio la violazione delle «regole prudenziali» – concetto peraltro molto elasticizzabile – è oggi una sorta di salvacondotto penale, in quanto «valutazioni non palesemente erronee» e comunque non unicamente finalizzate a una rappresentazione ingannatoria.
E proprio analizzando alcune operazioni economiche e relative trasposizioni in bilancio, la Corte nota che, per quanto oggettivamente “larghe” e cioè «sovrastimate o stimate con criteri poi rivelatisi erronei», resta il fatto che il documento contabile «dà conto di realtà sussistenti». E così, seguendo l’elencazione della Quinta, «valutative sono le poste accese ai crediti» tenuto conto che il criterio è quello del presumibile realizzo; «valutative» sono le immobilizzazioni immateriali, «ancorate a criteri che inducono gli ammistratori a qualificare come tali costi ritenuti forieri di attività future», e pure le immobilizzazioni materiali, tenuto conto che la procedura di ammortamento cui ancorarle è «parametrata alla loro “residua possibilità di utilizzazione”». E valutativo è, infine, anche l’ammortamento di avviamento che può essere iscritto nell’attivo con il consenso del collegio sindacale, se acquisito a titolo oneroso. Alessandro Galimberti