IL SOLE 24 ORE
Cassazione. Le motivazioni dell’annullamento dell’assoluzione: nuovo processo d’Appello per Tronchetti Provera
Ricettazione anche senza profitto ingiusto
Roma. Per far scattare il reato di ricettazione non è necessario che il profitto perseguito sia ingiusto. La Corte di cassazione ha depositato ieri le motivazioni (sentenza 21596) con le quali ha annullato l’assoluzione decisa dalla Corte d’appello nei confronti del presidente di Pirelli ed ex numero uno di Telecom, Marco Tronchetti Provera (si veda il Sole 24 Ore del 19 febbraio scorso). L’accusa era di aver autorizzato, nel 2004, la ricettazione di documenti sottratti dai sistemi informatici dell’agenzia di 007 privati Kroll, comprovanti in Brasile lo spionaggio di Kroll ai danni di Tronchetti per conto dei rivali sudamericani Cicop e Santas, nell’ambito della guerra per il controllo di Brasil Telecom. Accusa che nel 2013 era costata in primo grado una condanna a 20 mesi, verdetto poi capovolto in secondo grado. Nell’ordinare un nuovo processo d’appello senza prescrizione, alla quale Tronchetti Provera ha rinunciato nel 2015, la Cassazione ha bocciato l’assoluzione con la quale i giudici di seconda istanza avevano attribuito al ricorrente «un intento esclusivamente difensivo, la volontà di denunciare seguita da effettiva denuncia», escludendo così il dolo specifico del profitto. La Cassazione accoglie i rilievi del procuratore generale tesi a dimostrare la sussistenza dell’elemento del dolo del profitto e l’illegittimità dell’acquisizione in udienza di dichiarazioni extradibattimentali, frutto di indagini difensive che avevano pesato sull’assoluzione.
La Corte respinge invece il ricorso di Tronchetti, che chiedeva di cambiare la formula da «perché il fatto non costituisce reato» a «perché il fatto non sussiste». Secondo la difesa, mancherebbe, infatti, anche l’elemento della materializzazione costitutivo del reato. Nel corso della riunione nella quale Tronchetti si sarebbe limitato a dare il suo assenso all’acquisizione dei dati, i files non erano ancora stati acquisiti, con conseguente difetto di materialità della cosa. Per la Cassazione è però provato che i dati erano già stati “materializzati” perché riversati in 5 Dvd. I giudici ricordano che rientrano tra le “cose mobili” tutti gli oggetti corporei, qualsiasi entità materiale, suscettibile di detenzione, sottrazione e impossessamento, che faccia parte di un patrimonio, inteso in senso ampio e non soltanto sotto il profilo strettamente economico. Una cosa è l’entità materiale su cui i beni immateriali vengono trasfusi. E dunque lo è il supporto informatico sul quale vengono trasferiti i dati carpiti con le illegittime intrusioni nel sistema informatico. Per la Corte è fondato il rilievo del Pg sull’illegittima acquisizione delle nuove dichiarazioni rese al difensore dell’imputato dopo la sentenza di primo grado da soggetti già esaminati nel corso del dibattimento. È vero che il diritto del difensore di svolgere indagini difensive è esercitabile in ogni stato e grado del processo, ma non può prescindere, per trovare ingresso nel processo, dai limiti previsti dal codice di rito per la formazione della prova. Nello specifico, l’articolo 603 prevede che le dichiarazioni debbano essere assunte e condotte dal giudice, «non potendo tale sub procedimento acquisitivo essere surrogato dalla produzione e dall’acquisizione di verbali formati unilateralmente dalle parti». Anche per quanto riguarda il dolo del delitto di ricettazione segna un punto il Pg. Il profitto può avere anche natura non patrimoniale e non è necessario neppure che sia ingiusto. L’incriminazione dei fatti di ricettazione mira, infatti, a vietare la circolazione delle cose provenienti da delitto. Anche quando, come nel caso esaminato, lo scopo è l’autotutela. Patrizia Maciocchi