IL SOLE 24 ORE
Diritto del lavoro. La Cassazione ribalta l’orientamento sulla dimostrazione del posto alternativo
Ricollocamento, prova al datore
Nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo, compete al datore di lavoro provare l’impossibilità di ricollocare il dipendente, in quanto, alla luce degli ordinari principi processuali, l’onere di provare l’impossibilità del repechâge ricade esclusivamente sul datore di lavoro.
È il principio espresso dalla Cassazione (sentenza 5592/2016 depositata ieri) secondo cui nel ricorso con il quale il lavoratore impugna il licenziamento è sufficiente contestarne l’illegittimità e affermare l’inesistenza delle ragioni aziendali addotte (inclusa la violazione dell’obbligo di repechage), senza che sia necessario assolvere a un onere di allegazione, neppure sul piano presuntivo, di posti alternativi ove ricollocare il dipendente. Secondo il nuovo orientamento, che sovverte un indirizzo sin qui predominante, incombe sul solo datore la dimostrazione dell’impossibilità di ricollocare il dipendente in altre posizioni all’interno dell’organizzazione, senza che a ciò si debba accompagnare una preventiva allegazione da parte del lavoratore circa la presenza di mansioni alternative idonee a scongiurare il recesso. La Corte ha ben chiaro, e lo scrive, che un consolidato indirizzo della stessa giurisprudenza di legittimità, ha coltivato una interpretazione di segno diametralmente contrario, avendo ritenuto che, quantunque l’onere di provare di aver correttamente assolto all’obbligo di repechâge competa al datore di lavoro, sussiste un diverso e propedeutico onere a carico del lavoratore di dedurre, in sede di impugnazione del licenziamento, l’esistenza di posti di lavoro alternativi. La Cassazione aveva raggiunto questa conclusione sul presupposto che vi sia un obbligo di collaborazione da parte del lavoratore licenziato nell’accertamento di un possibile repechâge, in virtù di una sorta di «cooperazione processuale». Ora però la Cassazione ribalta questa prospettiva e afferma che una netta distinzione tra onere di preventiva allegazione a carico del lavoratore e onere di prova a carico del datore di lavoro non ha ragion d’essere, in quanto si fonda su una petizione di principio priva di fondamento giuridico, finendo per determinare una ingiustificata inversione dell’onere della prova. Secondo la Corte, l’articolo 5 della legge 604/1966 in materia di licenziamenti individuali pone chiaramente a carico del datore di lavoro l’onere della prova della sussistenza del giustificato motivo di licenziamento nel quale rientra, quale elemento costitutivo, la verifica sul repechâge del lavoratore in una diversa posizione aziendale. A ulteriore conferma sono i principi generali in tema di responsabilità da inadempimento, da cui discende che al lavoratore/creditore competa solo di allegare l’esistenza del rapporto di lavoro e l’inadempimento datoriale per illegittimo esercizio del diritto di recesso, mentre sul datore di lavoro/debitore ricade la dimostrazione delle esigenze oggettive richiamate nella lettera di licenziamento e, altresì, della impossibilità di ricollocare su altre mansioni il lavoratore. Questa lettura della disciplina sui licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, è avvalorata dal principio di persistenza del diritto e di vicinanza della prova, atteso che il datore di lavoro, per la sua posizione di imprenditore, è nella migliore disponibilità degli elementi idonei a dimostrare le ragioni aziendali che sorreggono il licenziamento, ivi inclusi quelli relativi al possibile repechâge. Giuseppe Bulgarini d’Elci