CASSAZIONE: Ritenute omesse, doppie sanzioni (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

 

Cassazione. La Terza sezione boccia l’applicazione estensiva della sentenza Cedu «Grande Stevens» sulle penalità Consob

Ritenute omesse, doppie sanzioni

 

 

MILANO. Il pagamento della sanzione civilistica per omesso versamento delle ritenute previdenziali non fa scattare il ne bis in idem sul versante penale.
La Terza sezione della Cassazione (sentenza 31738/15, depositata ieri) restringe l’applicabilità della ormai famosa sentenza Cedu Grande Stevens del 4 marzo 2014 e la esclude esplicitamente nel caso di mancato pagamento di contributi previdenziali (legge 638/1983).

A differenza della decisione contro l’Italia nel caso Stevens – in cui la Corte riconobbe la valenza “penalistica” delle sanzioni irrogate dalla Consob, stabilendo la (vietata) doppia punibilità nel concorso con le sanzioni penali – qui la sovrapposizione tra la norma amministrativa (articolo 116 della legge 388/2000) e quella penale è assolutamente apparente, stante la natura e gli effetti delle pene in gioco.

La vicenda era stata portata davanti ai giudici di legittimità da una contribuente di Brescia che si era vista infliggere dalla Corte d’appello sei mesi di reclusione per aver interrotto il pagamento delle rate a Equitalia relative a un’omissione contributiva dei primi anni 2000.

Secondo i difensori dell’imputata, l’intervenuto pagamento delle sanzioni previste dalla legge 388/00 («Misure per favorire l’emersione del lavoro irregolare», articolo 116 comma 8) avrebbe fatto scattare il ne bis in idem sancito dalla sentenza Cedu, in quanto «già condannata in via definitiva per il medesimo fatto storico al pagamento di una sanzione civilistica». Da qui l’istanza per il riconoscimento tra l’altro dell’incostituzionalità dell’articolo 649 del codice di procedura penale («Divieto di un secondo giudizio») in quanto escluderebbe le sanzioni civilistiche “equivalenti” tra quelle capaci di far scattare il ne bis in idem.

La Terza penale però ha respinto su tutta la linea l’interpretazione estensiva della sentenza Cedu del 4 marzo 2014, partendo proprio dall’analisi della natura della penalità civilistica prevista per il mancato pagamento di contributi. Natura scarsamente afflittiva, argomenta la Corte, considerando che la maggiorazione prevista sui tributi non versati è del 5,5% annuo sul tasso ufficiale di riferimento, e comunque non può superare il 40% dei premi non pagati entro la scadenza.

Al contrario la violazione è punita molto più severamente, sul versante penale, dalla legge 638/83, e soprattutto in questo ambito la tutela è rivolta al diritto del lavoratore a cui sono “sottratte” le somme previdenziali a lui riservate, mentre la norma civilistica ha solo per obiettivo il «ristoro verso l’Inps».
Questo, scrive il relatore, «esclude in radice la possibilità di considerare l’identità del fatto, come erroneamente prospettato dalla ricorrente, in quanto per l’identità del fatto non basta certo la medesimezza dell’avvenimento storico, ma occorre che siano identici tutti i tratti caratteristici». Non solo, nel caso delle omissioni contributive «non può certo attribuirsi carattere di particolare afflittività alla sanzione civile tale da farla assimilare a una sanzione penale, tenuto conto anche dei limiti massimi insuperabili ai quali parametrare la sanzione irrogabile».

Tra l’altro, spiega la Terza, la stessa collocazione sistematica della norma civilistica – all’interno dell’articolo per l’emersione del lavoro nero – lascia intendere le finalità della norma «tantopiù che il successivo comma 12 (dell’articolo 116, ndr) stabilisce il primato delle sanzioni penali previste per gli omessi versamenti di contributi o premi, rispetto alle sanzioni amministrative già previste che vengono invece abolite».

Quindi, conclude la Corte, c’è una “doppia” natura amministrativa delle norme della legge 388/2000 che fa ritenere «manifestamente infondata l’eccepita questione di incostituzionalità». Alessandro Galimberti

 

 

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