CASSAZIONE: Segreto professionale, doppia possibilità di opporsi alla Procura (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Segreto professionale, doppia possibilità di opporsi alla Procura

Se il professionista ritiene illegittima l’autorizzazione del pubblico ministero che autorizza i verificatori fiscali a proseguire il controllo nonostante l’opposizione del segreto professionale, può proporre ricorso alla Commissione tributaria provinciale allorché verrà emanato l’atto impositivo, nel caso invece non siano contestate violazioni fiscali potrà rivolgersi al giudice ordinario. Sono queste, in estrema sintesi, gli strumenti difensivi offerti dall’ordinamento al professionista che ritiene violato il proprio segreto professionale nel corso di un controllo fiscale a seguito della recente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione. Ma vediamo in concreto i termini della delicata problematica.
Segreto professionale
Il professionista per legge deve coprire le notizie (spesso anche delicate) riguardanti i propri clienti. La disciplina del segreto si ricava, sul piano generale, dall’articolo 200 del codice di procedura penale, secondo il quale i professionisti non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione della propria professione.
La violazione è penalmente sanzionata in capo al professionista stesso, a querela della persona offesa (articolo 622 del codice penale), con la reclusione fino a un anno o con la multa da 30 a 516 euro.
In tale contesto occorre considerare che alcune informazioni gestite dal professionista potrebbero venire a conoscenza dell’amministrazione finanziaria nel corso di un controllo nei propri confronti. Si pensi, ad esempio, al caso frequente di verifica fiscale durante la quale i controllori potrebbero ritenere importante esaminare i fascicoli cartacei o telematici dei clienti del professionista per poi riscontrare la regolare emissione di fattura per le prestazioni eseguite, venendo così a conoscenza di problematiche di interesse del cliente estranee al controllo del professionista (rinvenimento di lettere, mail, ecc). Fermo restando che gli appartenenti all’amministrazione finanziaria sono tenuti a loro volta al rispetto del segreto, è innegabile che il dubbio che alcune delle informazioni così acquisite possano poi essere utilizzate contro il cliente del professionista per effettuare anche nei suoi confronti un controllo fiscale, rimane.
L’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria
In tali ipotesi, l’unica tutela consiste nell’eccepire il segreto professionale che impedisce sia l’esame dei documenti, sia l’acquisizione di notizie da parte dei terzi. E infatti l’articolo 52 del Decreto del presidente della repubblica 633/72 prevede, a questo proposito, che nei casi in cui è opposto il segreto professionale i verificatori possono procedere solo in seguito al rilascio dell’autorizzazione della Procura ovvero da parte dell’autorità giudiziaria più vicina.
Qualora il professionista opponga tale segreto la dichiarazione va debitamente verbalizzata e i funzionari devono richiedere l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria per procedere all’esame. L’autorizzazione ha valenza procedurale, non essendo necessari specifici requisiti per la relativa concessione.
Si tratta così di una sorta di benestare, forse anche liberatorio per lo stesso professionista, che consente “l’accesso” a fascicoli coperti da segreto.
Tuttavia, fino a qualche giorno fa, di fatto, il professionista che subiva delle violazioni in tal senso non aveva una concreta tutela poiché, secondo una pronuncia delle Sezioni Unite del 2010 (n. 11082/10), solo impugnando la pretesa tributaria, successiva alla verifica, era possibile eccepire dinanzi alla commissione tributaria la violazione subita. Ne conseguiva, però, che negli altri casi in cui non era proposto ricorso tributario la violazione rimaneva priva di ogni conseguenza.
Le Sezioni Unite, con la sentenza del 2 maggio 2016 (si veda il Sole 24 Ore del 3 maggio), pur confermando la competenza piena ed esclusiva del giudice tributario non solo sull’impugnazione del provvedimento impositivo, ma anche sulla legittimità di tutti gli atti del relativo procedimento, ivi compresa l’autorizzazione sull’opposizione del segreto professionale, hanno espressamente chiarito che se la verifica non sfocia in un atto impositivo ovvero quando tale provvedimento non sia oggetto di ricorso, l’autorizzazione in questione è autonomamente impugnabile dinanzi al giudice ordinario. Laura Ambrosi

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