CASSAZIONE: Sequestro e cartella a destinatari diversi: non c’è «ne bis in idem» (Il Sole 24 Ore)

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Evasione. Società e legale rappresentante
Sequestro e cartella a destinatari diversi: non c’è «ne bis in idem»

Roma. Il sequestro penale unito ad una cartella di pagamento di Equitalia per omesso versamento Iva nei confronti della società e del suo legale rappresentante non fanno scattare la violazione del «ne bis in idem» perché sono riferiti a due soggetti diversi.
La Cassazione, con la sentenza 9224, respinge il ricorso di una società contro la decisione del Tribunale del riesame di mantenere la misura cautelare del sequestro preventivo per equivalente nei confronti di una società.
La società, tramite il suo legale rappresentante, lamentava, richiamando la sentenza Grande Stevens, di essere stata assoggettata a una duplice sanzione con identica natura afflittiva di tipo penale per uno stesso fatto. La ricorrente era stata privata in via cautelare della somma corrispondente all’Iva non versata oltre ad essere destinataria di una cartella di pagamento emessa da Equitalia.
Ma la Cassazione nega la violazione del «ne bis in idem».
L’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea dispone che «Nessuno può essere perseguito o candannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge».
La disposizione, precisa la Corte, può essere applicata solo quando del medesimo fatto contestato non è chiamato a rispondere lo stesso autore. Un’identità soggettiva passiva del destinatario della sanzione che, evidentemente, non c’è quando per lo stesso fatto rispondono a titolo diverso due soggetti come nel caso esaminato: la società destinataria della sanzione tributaria e il suo legale rappresentante perseguito penalmente. Inoltre la Cassazione precisa che le sanzioni amministrative, relative al rapporto fiscale delle società con personalità giuridica, sono a carico di queste ultime e non della persona fisica che le rappresenta legalmente. Come affermato con la sentenza Gabbana (43809 del 2014), l’esercizio dell’azione penale non può essere precluso, in virtù della già avvenuta irrogazione di una sanzione formalmente amministrativa, ma con carattere sostanzialmente penale, se non c’è coincidenza fra la persona chiamata a rispondere in sede penale e quella sanzionata in via amministrativa.
Un’altra ragione di infondatezza del ricorso sta nell’assenza di una sanzione definitiva sotto il profilo penale. Il decreto di sequestro per equivalente, pur essendo finalizzato alla confisca, necessita della conferma della condanna penale per il reato presupposto. Manca dunque anche il requisito della definitività della sanzione che blocca la strada ad una seconda per lo stesso fatto. Patrizia Maciocchi

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