IL SOLE 24 ORE
Stupefacenti. Non scatta il divieto di «reformatio»
Spaccio, fatto lieve sanzionabile con pena più grave
Milano. Il ricalcolo della pena per «lieve entità» nello spaccio di stupefacenti non impedisce, per quanto possa sembrare paradossale, un aumento della sanzione per l’imputato in sede di impugnazione. Questo può accadere anche se è stato lo stesso condannato, e lui solo, a chiedere la rettifica della pena.
La Terza penale della Cassazione torna, con la sentenza 30529/16 depositata ieri, sulle modifiche al Dpr 309/90 apportate dal decreto legge del 2013 convertito nella legge 10 del 2014. Con quel provvedimento, accelerato all’epoca anche dall’intervento con cui la Consulta aveva censurato la Fini -Giovanardi, il legislatore aveva di fatto separato il percorso delle droghe leggere (ma non solo) ricalibrando verso il basso le pene edittali. In questo modo, secondo gli interpreti – sul punto si veda la sentenza 14288/14 della Sesta penale – è stata individuata una nuova e autonoma fatti-specie, con tutte le conseguenze del caso.
Nel procedimento impugnato da un cinquantenne di Olbia, i giudici di appello di Cagliari, su sollecito della stessa Corte di Cassazione, avevano di fatto dimezzato la pena, in applicazione della nuova e più favorevole norma, riducendola a 2 mesi e 20 giorni dai 4 iniziali (e multa di 18 mila euro). Tuttavia, nel riformulare la condanna, l’Appello aveva applicato la recidiva, considerata invece equivalente alle attenuanti nel precedente grado di giudizio. Secondo la difesa, i giudici di secondo grado in tal modo avevano di fatto riformato in peius la sentenza, impugnata dal solo imputato, violando così il precetto fondamentale dell’appello penale.
Ma la Terza – presidente Fiale, relatore Socci – ha dichiarato infondato il ricorso, condannando l’imputato anche al pagamento delle spese processuali. I giudici di legittimità sottolineano infatti che il divieto di reformatio in peius «non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi che concorrono alla sua determinazione». Quindi, anche se ad appellare è il solo imputato, la Corte può riconsiderare autonomamente le circostanze, sempre a condizione che non fossero state escluse dal giudice di merito. Nel caso specifico, l’Appello di Cagliari aveva tenuto conto della ripetizione delle condotte illecite a carico dell’indagato, ma l’aveva considerata equivalente alle riconosciute attenuanti, mentre nel nuovo giudizio – e sotto l’ombrello di una nuova e autonoma fattispecie, come da insegnamento di legittimità – la recidiva era tornata nel calcolo aritmetico della pena. Pertanto l’aggravamento sanzionatorio, argomenta l’estensore, non può considerarsi in violazione del divieto di reformatio in peius. Alessandro Galimberti