IL SOLE 24 ORE
Pratiche. Il Consiglio di Stato sospende il no del Tar alla circolare Aci
Il certificato di proprietà torna a essere solo digitale
I giudici amministrativi si occupano del rapporto tra documento cartaceo e documento digitale in una controversia tra Aci e gli studi di consulenza automobilistica associati all’Unasca. Quando il giudice amministrativo annulla con sentenza un provvedimento, quest’ultimo è cancellato e non più applicabile. Poiché i gradi di giudizio sono due (Tar e Consiglio di Stato), la seconda pronuncia può essere di segno contrario. Il Tar ha annullato una circolare Aci che imponeva certificati di proprietà digitali, ma il Consiglio di Stato (ordinanza 3805 del 9 settembre scorso) ha temporaneamente sospeso l’annullamento.
Così l’Aci, che nel 2015 aveva escluso la possibilità di una versione cartacea dei certificati di proprietà (una stampa, corrispondente a ciò che si legge nel supporto digitale custodito negli archivi Aci), dapprima ha subito la sentenza del Tar del Lazio 5861 del 17 maggio 2016, ma poi dal settembre 2016 ha ottenuto una sospensione dal giudice di appello. Così, fino al settembre 2015, erano possibili certificati cartacei con tutti i dati leggibili nell’archivio informatico; dal settembre 2015 i certificati di proprietà digitali erano affiancati da un’attestazione cartacea con dati sintetici; dal maggio 2016 (sentenza Tar) erano di nuovo possibili solo certificati di proprietà cartacei e dal settembre 2016 si torna al regime dei soli certificati digitali (affiancati da “attestati” cartacei sintetici). Il Consiglio di Stato nel settembre 2016 ha infatti sospeso la sentenza Tar, facendo tornare applicabile la circolare Aci del settembre 2015 e cioè consentendo all’Aci di gestire solo in modo digitale i certificati di proprietà dei veicoli.
Ciò si desume dalla motivazione adottata dal giudice di appello, che considera l’onerosità di eseguire la sentenza Tar convertendo i certificati digitali anche in documenti cartacei. Quindi consente all’Aci di mantenere la regolamentazione (cioè l’organizzazione) già in corso. È quindi difficile dire chi abbia vinto e chi perso, tra Aci ed Unasca: di sicuro l’Aci ha visto riconosciuta l’organizzazione messa in piedi per gestire il certificato digitale, che quindi non va modificata; è difficile tuttavia sostenere che il Consiglio di Stato, facendo salva l’organizzazione, abbia condiviso anche l’impostazione totalizzante che l’Aci ha adottato, cioè l’avversione assoluta ai documenti di proprietà cartacei. In poche parole, l’antagonismo tra carta e documento digitale non ha ancora un vincitore.
Del resto, anche in altri settori regna l’incertezza: ad esempio, nelle aule dei Tribunali coabitano dati digitali e cartacei: i primi sono voluti dalla legge, i secondi sono imposti dalla “cortesia”. Di fatto, ogni attività è sdoppiata e rimane anche cartacea (circolare ministero Giustizia 23 ottobre 2015), seppur priva del valore di prova che la legge riconosce solo al documento digitale. Già il Tar Lazio nella lite Aci-Unasca aveva sottolineato che le norme sulla digitalizzazione pubblica (Dlgs 82 / 2005) non impediscono le copie cartacee; ora, attraverso una coabitazione tra certificato (digitale) e attestazione sintetica (cartacea), si cerca di mitigare le difficoltà di una dematerializzazione rapida e assoluta. Guglielmo Saporito