IL SOLE 24 ORE
In Parlamento. La revisione del Dlgs 102
La «dispersione» in proporzione ai consumi volontari
Sulla ripartizione delle spese di riscaldamento in condominio dopo l’installazione dei contabilizzatori sono in atto grandi manovre. In pratica, ad aprire la discussione sulla revisione del decreto legislativo 102/2014, è stata la commissione Industria del Senato (si veda «Il Sole 24 Ore» del 10 febbraio). Pur dando il parere positivo, i senatori esortano a rivedere il sistema di ripartizione (basato sulla norma Uni 10200) che prevede, entro il 2017, di adattare la quota di spese riconducibili al «consumo involontario» (la famosa “dispersione”) alle proporzioni di «consumo volontario». Il problema (si veda l’altro articolo nella pagina) è che un’applicazione radicale di questo metodo, senza che venga effettuata una diagnosi energetica e adottati provvedimenti di contenimento mirati, produrrebbe sperequazioni e ingiustizie. Ma lasciare di fatto libertà all’assemblea condominiale di decidere che il 50% dei consumi possa essere ripartito senza tener conto dei consumi, come suggerisce il Senato in una «osservazione» (non cogente per il Governo), ha suscitato qualche dubbio.
«I proprietari delle unità immobiliari interessate, in genere al primo e all’ultimo piano – spiega Francesco Burrelli, presidente di Anaci (amministratori condominiali) – di fatto sono costretti a prelevare maggior calore in quanto le dispersioni avvengono per cause riconducibili a deficienze dalle parti comuni. Su queste, i condòmini non hanno convenienza economica a intervenire personalmente in quanto il costo per le opere di isolamento, dalle quali trarrebbe vantaggio tutto l’edificio, potrebbe essere oneroso e, solitamente, l’assemblea non assume la delibera in quanto non sente il problema come di sua competenza».
La soluzione, forse, sta nel mezzo. «Posto che il problema deriva dalle dispersioni – prosegue Burrelli – la Uni 10200 potrebbe essere integrata con queste disposizioni: il calcolo della tabella millesimale, oggi effettuato in base alla norma Uni 11300 per la determinazione del fabbisogno energetico delle singole unità immobiliari, dovrebbe tenere in considerazione la diversa dispersione delle parti comuni, soprattutto per “perequare” le spese degli appartamenti posti all’ultimo e al primo piano; poi la quantificazione della potenza termica impegnata (la cosiddetta “quota fissa”) dovrebbe essere calcolata in riferimento sia alle dispersioni della rete di distribuzione del calore (come oggi previsto) sia alle dispersioni dell’involucro (oggi non previsto, prevedendone un obbligo per migliorare le trasmittanze delle parti comuni). Il tutto con parametri predeterminati e non soggetti alla discrezionalità dell’assemblea».
Resta il problema delle “seconde case”, delle quali non esiste una classificazione oggettiva. «Nel gruppo di lavoro 271 del Cti, incaricato dall’Uni di modificare la Uni 10200 – spiega Burrelli –, sono stati individuati i criteri per procedere al calcolo dei consumi effettivi in tali realtà. Ma in questo caso una norma potrebbe rimettere all’assemblea la valutazione, sulla base di calcoli dei consumi storici e di una diagnosi energetica, di trasformare l’impianto centralizzato in impianti autonomi, così come parrebbe ancora consentito». Bisogna trovare delle soluzioni, che invoglino, o magari obblighino i condomini a coibentare e isolare pareti e solai e superfici comuni, che abbiano i valori della trasmittanze inferiori a un valore limite, certificato da un tecnico. Saverio Fossati